Il sole è alto nel cielo, il campo base è ormai brulicante
di atleti multicolori, le tende ben disposte formano un accampamento pieno di
vita. Io prendo posto nella mia brandina da campo e così incomincia la
preparazione minuziosa per la prima tappa di questa ennesima avventura.
Tullio Frau. |
Tullio accompagnato da un'amico durante il Magraid. |
Eccoci sull’argine
maledetto, il solito tratto di percorso che si incontra alla fine di ogni
tappa, il tratto che poi, dopo una leggera curva a sinistra, ci porta al
traguardo. La voce di Yan Noel annuncia il nostro arrivo: una vera festa! Gli applausi
dei presenti, i complimenti di tutti coloro che sono lì, ad attendere l’arrivo
degli atleti! “Grazie Manuele, è stata una tappa bellissima, tranquilla e non
particolarmente faticosa. Ora una buona birra ristoratrice, doccia e poi si
mangia.
A tavola non si
parla che della tappa di domani, quest’anno il numero dei partecipanti è
raddoppiato rispetto allo scorso anno, tanti non sanno ancora cosa li aspetti
nel percorrere 55 km
di tracciato molto duro e tecnico. Ma lasciamo pure che sia una sorpresa, certo
è che il segreto di una frazione lunga come quella è solo una buona
preparazione nelle gambe e soprattutto un’idratazione ben calibrata nel tempo:
bere, bere e poi bere, guai a sentir sete, bisogna assolutamente anticiparla la
sete, magari mangiare poco, ma assolutamente bere. Così dicendo e discutendo
con i compagni della tavolata, si fa tardi e si va a dormire.
La notte è fresca,
dentro al sacco a pelo si sta benone, un usignolo ha scelto come palco per
esibirsi un albero vicino alla nostra
tenda. Certo il suo canto è splendido, peccato che mi abbia impedito di
dormire: avessi avuto un fucile! Ma no, poverino, cercava solo di cantarci la
ninna nanna forse, ma io certo ho poco apprezzato il gesto, così gira che ti
rigira nel sacco si è fatto giorno e l’ora di alzarsi è arrivata
inesorabilmente.
Sono due anni che non riesco a portare a termine questa tappa maledetta: nel 2011 mi sono fermato al 35°
km, non volevo rischiare di farmi male, venivo da un brutto infortunio e non
avevo la preparazione adeguata; nel 2012 invece un colpo di sole mi ha
inchiodato al 40 km°, una vera disfatta, ero mortificato. Questa volta, costi
quel che costi, arriverò al traguardo! Così pensando ecco arrivare Carlo, il
mio amico che mi avrebbe accompagnato in questa lunga tappa. “Ciao atleta, sei
pronto?” mi chiede. “Certo!”, rispondo. Siamo pronti per salire sui pullman che
ci porteranno verso Domanins, verso l’azienda agricola di Michelangelo
Tombacco, sponsor della manifestazione. Lì, nel piazzale antistante la sua
cantina tutto è pronto, le foto di rito: le ultime raccomandazioni. Il gruppo è
lì, pronto, sotto il sole che ci scalda, lo zaino sulle mie spalle non è quello
di ieri, questo è più grande: ci ho dovuto mettere, oltre alle barrette energetiche,
anche due ulteriori bottiglie con Sali
minerali. Sì, questa volta la sete e il sole non mi sorprenderanno, io devo arrivare
al traguardo a ogni costo.
Immagine del Magraid. |
Mi sistemo ancora
il cappellino con la mia bandierina della Sardegna, usata come veletta per
difendermi dal sole sul collo. Ancora un sorso d’acqua, lo sparo del
commissario di gara e via! Una brutta sensazione si impadronisce di me
all’improvviso: ho paura di non farcela, le gambe sono pesanti, l’erba del
percorso sembra impedirmi di correre, avanzo con pesantezza. No, no, questa
volta arriverò; e dopo poco il serpentone di atleti si snoda attraverso le
vigne della tenuta agricola. carlo è sicuro al mio fianco: anche con lui, come
con Manuele, l’andatura è lenta e costante, sicuro procedo nella mia dolce
andatura. Tanti ci superano, ma tanti altri ci stanno alle spalle, la prudenza invita molti a tenere un ritmo
blando. Il sole è ormai alto e molto caldo, l’umidità dell’ambiente si fa
sentire, i primi km sono molto faticosi, i 25 km di ieri si fanno un po’
sentire, ma dopo un paio di km le gambe girano. È strano, ma una brutta
sensazione si impadronisce di me, non sono sereno, faccio fatica a prendere il
ritmo giusto, e così, d’accordo con Carlo, incominciamo ad alternare corsa a
camminata veloce: corsa dove il terreno è agibile, camminata invece dove il
terreno è più ostico. Così viaggiando arriviamo con fatica nei pressi
dell’agriturismo Da Tina: acqua fresca e tanti sorrisi e incitamenti dei
volontari che ci infondono coraggio. “Dài Tullio, dài che sei forte, su,
coraggio”! Un po’ d’acqua fresca da bere subito, altra per rifornire lo
zainetto, un po’ di acqua in testa e a bagnare il cappellino e poi via, avanti
per la strada. Siamo solo al 15° km,
ancora 40 e poi è finita, ma questo è solo un modo per ingannare la fatica, in
realtà non sono sereno e così riprendiamo il nostro andare sperando che l’umore
si risollevi.
Dopo qualche km incomincio a carburare, mi sento rinvigorire, quella fermata mi ha dato una sferzata di energia, ora sono tranquillo. La nostra andatura è costante, la corsa si alterna alla camminata e ormai siamo nel pieno dei magredi. La loro identità si sta rivelando in tutti i suoi aspetti ostici, duri e faticosi, proprio come li conosco ormai da anni: potrei dire che quei sassi li conosco uno per uno, ma non posso permettermi di correrci sopra, nascondono insidie molto pericolose per le mie caviglie già messe a dura prova negli allenamenti, e così pensando giù, uno scivolone, ma riesco comunque a restare in piedi. Carlo sicuro al mio fianco vigila attentamente il mio correre scegliendo sempre traiettorie più semplici, ma nonostante ciò il percorso è veramente pesante. Tuttavia non ci spaventa nulla, si corre e si cammina.
Arriviamo in un
punto di controllo, l’ambulanza a caricato già alcuni atleti che si sono
ritirati a causa di disidratazione e, sollevando un polverone, si allontana. Raggiungiamo
un gruppetto di 4 concorrenti, che per un lungo tratto ci fanno compagnia, ma
dopo poco, ad uno ad uno si staccano e restano in dietro. Solo Angelo, un
signore molto gioviale, ci resta vicino e con lui proseguiamo nel nostro
percorso: in queste gare c’è di bello che si può fare amicizia anche in corsa,
ci si scambia consigli e si chiacchiera del più e del meno, sempre che il fiato
te lo conceda, naturalmente. Così, tra una chiacchiera e l’altra, ci si
avvicina a metà percorso. La fatica incomincia farsi sentire, di tanto in tanto
mi asciugo il sudore dalla fronte, il percorso non cambia. Ormai siamo nel
cuore dei magredi, terra magra, arida e ostile agli umani, ma, nonostante
queste caratteristiche, il panorama che ci circonda ha un fascino speciale:
oltre che sassi, pochissimi arbusti e, all’orizzonte, solo silenzio e di tanto
in tanto ventate di profumi indefiniti, qualche fiore che sfida l’aridità del
terreno, qualche uccellino svolazza intorno a noi in cerca di non so cosa. Uno
scenario crudo, ma altrettanto splendido.
Ormai dovrebbe
mancare poco al ristoro ufficiale dei 35 km: sono sicuro, dietro questa curva
ci siamo. Infatti, dopo una curva a gomito, ecco in lontananza il vocìo che
proviene dalla struttura scelta per collocare il ristoro. Gigi ci viene
incontro: “Dài, bravi, ragazzi, vi vedo bene! Dài, un po’ di acqua fresca, Tullio,
la tua coca fresca!” “Sì, grazie, una manna dal cielo”! Poi una bella
rinfrescata sotto il rubinetto, che
splendore! Io e Carlo, insieme ad Angelo, ci sediamo un po’, lì ad attenderci troviamo
Claudio, che si è fatto trovare lì per proseguire con noi in questa avventura.
Sì, lui percorrerà con noi gli ultimi 20 km che ci separano dal traguardo. Il nostro
ritmo è costante, se continuiamo così dovremmo farcela in meno di 10 ore. Splendido
sarebbe, e così dicendo ci rimettiamo in corsa verso il Parareit. “Ciao Gigi,
grazie infinite e a questa sera!” Le sue raccomandazioni sanno di
incoraggiamento e sono una spinta ad andare avanti con cautela. Il sole può
ancora tradire. “Attenti, bevete e state calmi”!
Ora eravamo in 4, Angelo correva un po’ per conto suo con le cuffiette per la musica, io, Carlo e Claudio invece procedevamo insieme scambiandoci frasi di incoraggiamento e parlando del più e del meno. Le descrizioni di Carlo mi davano un’immagine dell’ambiente e mi sembrava di vederlo: in lontananza le montagne friulane, tutto intorno una grandissima distesa di sassi, canaloni formati dalle piene dell’acqua che durante l’inverno spesso invade questi terreni, ma ora solo aridità e null’altro.
Ormai siamo in
prossimità del 50° km. Mancano forse 6 o 7 km , ci disponiamo in fila indiana, il sentiero
è stretto e non si può correre affiancati. Carlo mi sta davanti, Claudio invece
dietro, il cordino lungo mi consente di tenere una distanza regolare da Carlo
che guida. Impostiamo una corsa lenta verso il traguardo, ormai ci siamo,
questa volta ho vinto io! Ecco la curva a sinistra, il campo base è lì, sì,
eccoci! Carlo alla mia destra, Claudio alla mia sinistra, mi lasciano libero di
poter arrivare senza cordino a braccia alzate verso il traguardo. “Grandi - gridano,
- grandissimi”! Tutti ci stanno intorno, un lungo abbraccio con Carlo suggella
questa indimenticabile giornata. Grazie, grazie, e ancora grazie, sono felice!
Circa 10 ore per percorrere 55
km , per un podista esperto potranno sembrare
un’eternità, qualcuno potrà pure sorridere, ma io sono consapevole e orgoglioso
di aver potuto portare a termine un’impresa, di aver corso su questi terreni
impervi senza saper dove mettere i piedi, rischiando ad ogni passo di storcersi
le caviglie. Ne sono uscito incolume, con qualche acciacco, ma sono in piedi, felice e con la mente proiettata alla tappa di domani, solo 20 km ci separeranno dai
fatidici 100.
“Ragazzi, una
birra ristoratrice?” “Sì, è quel che ci vuole”. Poi le foto di rito. Amici,
atleti, i volontari del campo, tutti ci stanno intorno per complimentarsi con
noi. L’abbraccio di una amica cara, Felicita: grazie di essere venuta, non sai
che piacere mi fa! Anche lei, come tutti, è molto generosa con i complimenti,
ma credo di non meritarli, potrei fare meglio. Sì, ma non importa, ora una
bella doccia, e poi tutti insieme a condividere il meritato pasto gentilmente
preparato dai volontari del campo. A tavola non si parla che della tappa, delle
difficoltà incontrate, degli episodi che hanno contrassegnato la giornata,
episodi che fanno sorridere o riflettere, ma nel complesso il racconto sa di
avventura vera. Ora tutti a nanna: Carlo mi accompagna in tenda, ora anche
Gigi abbandona i lavori del campo base e incomincia a calarsi nei panni del mio
prossimo accompagnatore. Domani lui e ancora Manuele mi accompagneranno nella
tappa finale di 20 km .
Dentro al sacco a
pelo sento caldo, mi scopro e sento freddo, credo di aver la febbre, mi alzo e
prendo un’aspirina, faccio molta fatica a prendere sonno. Questa notte non c’è
l’usignolo, ma un gallo che canta continuamente, che fastidio! Ma poi la
stanchezza prende in sopravvento e crollo in un sonno ristoratore.
Ormai è giorno, il campo si risveglia, c’è un’aria allegra in
giro. Tutti parlano della tappa di oggi, solo 20 km , ma non sono facili,
oggi si corre ancora su terreni molto impervi, dentro e fuori dall’acqua,
quindi il pericolo di vesciche è molto concreto, poi bisogna fare i conti con
la fatica di ieri, ma che importa? Tutto è pronto, tutto è pronto. Oggi la
partenza è dal campo base, si percorre a ritroso la parte finale di ogni tappa
per poi gettarsi sull’ultimo percorso che ci conduce in direzione Zoppola, per
poi ritornare verso Cordenons, dove, al Parareit, è sistemato il campo base. Lo
sparo del commissario dà il via all’ultima frazione. Via, il gruppo si sgrana
velocemente, in breve la mia posizione si colloca nelle retrovie, ma non sono
ultimo. Si procede con calma, bisogna comunque sempre e solo arrivare al
traguardo. Sentiero ben percorribile si alterna a tratti di magredo insidioso, splendidi
boschetti ci rinfrescano l’aria, ambienti diversi dalla tappa precedente:
vegetazione fresca e profumata, una
leggera brezza di tanto in tanto ci addolcisce la corsa. Eccoci al ristoro di
metà corsa, i volontari ci incitano da lontano. Acqua fresca, una fettina di
mela, un bicchiere di coca cola, splendido! Mi sfilo lo zainetto e mi tuffo nel
fiume fresco: che meraviglia! Poi via di nuovo in corsa.
Ormai mancano credo
una decina di km, Gigi e Manuele sempre al mio fianco, bene, bravo, metti bene
i piedi, su, giù. È un percorso molto
accidentato, corsi d’acqua freschissima da attraversare, su e giù per le rive
scoscese dei fiumiciattoli, sabbia, sassi ghiaia e ogni sorta di ostacoli
caratterizzano la corsa. Arriviamo finalmente al pallone che segna l’inizio
dell’ultimo tratto, ora mancheranno solo 4 km circa. Sono ultimo, ma ora si può correre:
l’adrenalina, l’entusiasmo, e le ultime forze mi danno un vigore incredibile,
il ritmo è buono. Incominciamo una buona rimonta, via via superiamo una dozzina
di atleti ormai stanchi e privi di energia. Eccoci alla curva a sinistra che ci
separa dal traguardo. È finita, è finita! Sì, grandissimi Gigi e Manuele, un
grande abbraccio ci accomuna nella gioia di aver finito e portato a termine
questa sesta edizione di Magraid. Avevo promesso a me stesso di farcela e così
è stato. Mentre tutti mi stanno intorno per complimentarsi, l’abbraccio di mia
moglie che è lì ad aspettarmi mi riempie di gioia, ma la mia mente è altrove
in pochi istanti ripercorro le tre tappe.
Mi tornano in mente tutti i sassi, uno per uno, le storte alle caviglie, una in
particolare alla fine della terza tappa: credevo di aver distrutto i legamenti
del piede sinistro, ma niente, solo un forte dolore che mi ha accompagnato
fino alla fine. Rivivo km per km, il sole che ci ha accompagnato e tutti gli
episodi che hanno contrassegnato questi tre giorni memorabili, un turbinio di
pensieri. Non so cosa mi spinga ad affrontare questo tipo di competizioni, a
confrontarmi con atleti che sono dei giganti se paragonati a me. Credo che
comunque la molla principale sia il desiderio di normalità, di vivere
esperienze che altrimenti non potrei mai assaporare, non so di certo cosa mi
spinga a superare difficoltà e sofferenze come quelle che si incontrano
affrontando gare simili. So comunque che sono felice e orgoglioso di me stesso
e felice di avere degli amici che condividono con me queste sensazioni. Amici
come Gigi, Carlo, Manuele e Claudio non è facile trovarne, a loro sicuramente
vanno il mio ringraziamento e la mia gratitudine. Io certamente ho incontrato
grosse difficoltà, ma loro si sono assunti una grande responsabilità
nell’accompagnare un non vedente in un’impresa già difficile per un
normodotato, tanto più per me.
Le foto sono di Sandro Sedran.
Le foto sono di Sandro Sedran.
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