Finita la stagione delle corse su strada e terminati gli appuntamenti con le maratone più importanti, inizia per il runner quella che si può considerare la stagione meno motivante, quella invernale. L'interpretazione di questo periodo è fondamentale per i risultati della stagione successiva ed è dunque importante analizzarlo per scoprire il modo migliore di gestirlo.
La preparazione di trent'anni fa - Attorno agli anni '70 si diffuse la famosa piramide della programmazione annuale che aveva come base proprio la preparazione invernale, un periodo in cui si soleva dire che "si metteva fieno in cascina", macinando chilometri di fondo lento. È ovvio che il fondo lento non fa male, anzi per i giovani atleti costruisce una base che consente loro di evolvere verso forme di allenamento più sofisticate. Per atleti già maturi e soprattutto per amatori che hanno superato i quaranta, il concetto della piramide (e quindi anche la preparazione invernale che ne sta alla base) risultò successivamente poco performante. Ricerche scientifiche in diversi settori (massima potenza aerobica, attività e numero dei mitocondri, gittata cardiaca, capillarizzazione ecc.) misero in luce che ogni sistema che partecipa alla performance dell'atleta si deallena in un periodo che va dalle quattro alle dodici settimane. Ciò significa che se si dimentica un sistema (per esempio quello anaerobico), il sistema si deallena. Non ha nessun fondamento scientifico pensare che l'allenamento di un sistema (per esempio la capillarizzazione con il fondo lento) possa servire come ottima base di partenza per allenarne un altro.
Le ricerche sul deallenamento hanno cioè provato che le prestazioni di un atleta dipendono da cosa ha fatto negli ultimi tre mesi. La cosa è confermata anche da recuperi "miracolosi" di atleti dopo un infortunio: con pochi mesi di allenamento sono riusciti ad arrivare molto vicini al top delle loro prestazioni. Il fatto che altri atleti non ci sono riusciti può essere semplicemente spiegato con un atteggiamento molto conservativo nella ripresa, con problemi di aumento di peso a causa della sosta ecc. Quello che l'atleta ha fatto sei mesi prima non può scientificamente essere messo in relazione con la situazione attuale. Ciò che quindi è importante considerare è che una preparazione invernale tradizionale fa regredire l'atleta e può essere consigliata solo in chi è ancora giovane, non deve essere bruciato anzitempo e non è ancora giunto al massimo del suo potenziale. Il regresso che la preparazione tradizionale stimola in un atleta già maturo non è giustificato scientificamente, anzi può essere la causa di un non ritorno allo standard della stagione precedente, soprattutto in atleti avanti con l'età.
La preparazione moderna - Finita la stagione, attualmente si imposta la preparazione invernale con un periodo di scarico che, per quanto detto sul deallenamento, non deve durare più di quattro settimane, poi ci si butta su obiettivi che devono:
a) continuare ad allenare tutti i sistemi coinvolti nella definizione della performance dell'atleta;
b) motivare mentalmente l'atleta.
In genere tali obiettivi sono le indoor, le campestri o distanze diverse (la maratonina o la maratona per chi proviene dai 10000 m). La preparazione per questi obiettivi consente di mantenere sufficientemente alta la qualità degli allenamenti, evitando il rilassamento tipico della preparazione tradizionale dove l'atleta si sentiva appagato solo dalla quantità di chilometri che aveva messo alle spalle. L'obiettivo deve essere ricercato non con finalità agonistiche, ma allenanti. Per esempio un atleta che corre i 10000 m in 36' se sceglierà come obiettivo la maratona dovrà porsi un target cronometrico di 2h56', decisamente alla sua portata. Il poter correre con un obiettivo facile consente di inserire sedute di potenziamento, di circuit training ecc. e di provare qualche nuova tecnica che stimoli mentalmente l'atleta e che comunque consenta di mantenere vivi tutti i sistemi che concorrono alla prestazione.
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