Auckland, 1 settembre 2013 alle ore 7.17
E’ mattino presto quando i vetri altissimi della Sky Tower sono baciati da un bel sole primaverile e Auckland lentamente si sveglia. L’inverno sta allentando la morsa qui in New Zealand e cede il passo alla primavera. E’ il giorno buono per immergersi nella vera Nuova Zelanda. Lontano dal traffico cittadino, dai fast-food, dai mille negozi e negozietti internazionali che vendono di tutto. Non puoi sprecare il primo sole di primavera stando nel city centre. Col mio conquilino decidiamo di andare ad Ovest di Auckland, verso la costa che si affaccia sul Mar di Tasmania. Ma stavolta, la macchina rimarra’ in garage. Andremo in moto, il mezzo migliore per godersi i paesaggi e insinuarsi nelle statali poco battute. Qualche slalom veloce tra le macchine ferme ai semafori e la Honda guadagna gia’ la propria strada sulla Motorway number 16 che ci portera’ fuori citta’. E subito siamo circondati da sconfinate pianure verdeggianti maculate dalle mandrie al pascolo. Sono tantissime, alcune lontane altre appena ai cigli della strada. Poi cominciano le colline, alternate da piccole montagne. E’ stranissimo sentire l’odore dell’aria che sa di Dolomiti… di Alto Adige, posti a me cari. Incrociamo due grossi camion che trasportano tronchi d’albero, lasciandosi dietro una scia che profuma di fresco truciolare. Il tipico odore di legno appena tagliato quando entri in una falegnameria. Mi guardo intorno, sembra improvvisamente di essere nelle montagne d’Abruzzo, sul Gran Sasso. L’aria frizzantina, i pascoli, qualche mandria che si sposta lentamente verso alture piu’ lontane, incitata da un mandriano senza troppa fretta. Penso a D’Annunzio: “Settembre, andiamo. È tempo di migrare. Ora in terra d'Abruzzi i miei pastori lascian gli stazzi e vanno verso il mare: scendono all'Adriatico selvaggio che verde è come i pascoli dei monti.”. Dopo circa 60 km arriviamo nella piccola Helensville. Qualche manciata di case ai lati della strada principale, qualche negozio, un ufficio postale del 1911 e un “Grand Hotel” targato 1885. La chiesa in perfetto stile coloniale ha un piccolo cimitero nel giardino retrostante. Verde, curatissimo e circondato da una staccionata in legno bianco. Sembra un set western. Tutto qui e’ completamente diverso dalla citta’. Alle spalle della piccola Helensville scorre il Kaipara River. Ma il paesaggio cambia ancora, acque melmose, argini bassi, pianura tutt’intorno e qualche albero altissimo isolato. Sembra l’Africa dei documentari del National Geographic. Quella dei fiumi fangosi dove si vedono gli ippopotami entrare in acqua e gazelle sempre all’erta abbeverarsi. Nel piccolo bar del paese prendiamo un caffe’, al muro tante foto in bianco e nero dei primi ‘900 che raccontano la storia di questo centro abitato. Qui non e’ arrivata l’internazionalita’ che trovi ad Auckland. Non ci sono ristoranti cinesi, thailandesi, grossi brands di fast food e fish and chips. Qui, alla cassa ti serve una signora con gli occhi azzurri e i capelli bianchi, il volto segnato da rughe. Qui, trovi le lavagnette dove col gesso scrivono: “Soup of day- minestrone”. Sorridiamo quando lo leggiamo. Spieghiamo che siamo italiani e lei divertita si affretta a spiegare che per noi e’ meglio non prendere la zuppa del giorno, perche’ e’ completamente diversa da come la intendiamo noi. “It isn’t for Italians people!”. Ci fidiamo sulla parola. L’ultimo sorso al caffe’ e di nuovo in moto. La Honda attraversa tante piccole stradine statali. Unbelievable New Zealand! Passo da un paesaggio ad un altro in una maniera rapidissima. Colline, pianure, montagne, pascoli e villaggi. Ma tutto e’ all’interno di questa terra cosi’ giovane e cosi’ lontana dal resto del mondo. Penso ai primi inglesi che giunsero qui. Penso a James Cook e alle sue esplorazioni che lo portarono fin “quaggiu’”. Si, quaggiu’ e’ la parola giusta perche’ siamo nella parte bassa del mondo detta appuntodown under. Dall’Inghilterra con navi a vela secoli fa giunse in queste terre consegnandole all’impero dove sventola l’Union Jack. L’unica bandiera che sventolo’ su tutti i sei contienti contemporaneamente. Alcune curve e il dislivello scende sino ad arrivare nella laguna di Kaipara Harbour. Ognuno qui ha una barca e un trattore. Non esistono scivoli per mettere in acqua i fuoribordo e la marea si ritira per decine di metri lasciando una distesa fangosa. E’ larghissima questa laguna, il cui nome Kai in Maori significa cibo, e pare di essere su una riva di un fiume vastissimo. Nilo e Gange sono le parole che mi vengono in mente mentre osservo in lontananza uno stormo immenso di uccelli bianchi che vola rasente all’acqua. Come i fenicotteri delle mie lagune oristanesi. Com’e’ vicina casa in questi momenti. Ripercorriamo la strada per risalire riprendendo la statale. In uno svincolo, dei muretti a secco immersi nel verde con una chiesa campestre mi ricordano l’Irlanda. Stessi colori, stesso countryside, mentre il cielo si rannuvola. “Come in Irlanda” - penso. La Honda passa in mezzo a distese infinite di verde, neppure un albero intorno. Qualche collina in lontananza e qualche casa in legno isolata ricorda il film Australia. Il cartello per Muriwai segna 10 km. Inizia una serie di curve a gomito mentre si scende verso il mare, alberi altissimi ai due lati della strada fanno filtrare solo qualche raggio di sole. Ancora una curva ed ecco che davanti a noi si apre il mare. Sconfinato, immenso, con onde alte e una spiaggia lunghissima. Il cartello dice: “Welcome to Muriwai Beach – Strong currents and large waves”. Paradiso dei surfisti che a decine a largo aspettano l’onda giusta. Piccoli puntini neri in questo vastissimo Mar di Tasmania. Si sale su di una montagna a picco sul mare seguendo un sentiero in legno denominato “Hillary trail”, in onore del conquistatore dell’Everest nativo di Auckland. Man mano che si va in alto vi sono dei bel vedere. Si sale ancora per poi ridiscendere in un’altra spiaggia dove nello strapiombo che la sovrasta, nidificano i Gannet, simili ai gabbiani. Sono centinaia, tutti appollaiati sui piattaforme rocciose. E’ un brulicare di becchi gialli e ali bianche. Il verso che emettono ricorda i rumori di un porticciolo, quando i pescherecci fanno rientro scortati dai gabbiani. Questa e’ la loro colonia, famosa in tutta la Nuova Zelanda. Qui, da agosto a marzo nidificano per poi migrare verso la lontana Australia e ritornare poi nel punto da dove sono partiti. Non la vedi l’Australia ma sai che e’ li, dietro l’orizzonte lontano. E i Gannet conoscono bene la rotta del loro lungo viaggio. Mare, mare e ancora mare fin quando non approdano stanchi, nell’altro continente. La sabbia nera di Muriwai mi si attacca alle scarpe, mi scivola via dalle mani talmente e’ fine. Cammino in questa baia dove la spiaggia ruba decine e decine di metri al mare, mentre penso all’isola di Robinson Crusoe. In questa giovane e lontana Nuova Zelanda i paesaggi sembrano usciti dai romanzi d’avventura o da set cinematografici. Pezzi di legno venuti da chissa’ dove, grandi conchiglie bianche, alghe di quasi due metri stanno sulla battigia. E’ una lavagna grandissima questa spiaggia. Prendo un piccolo bastone e scrivo sulla sabbia nera “I was here”. Risalgo velocemente la scogliera prima che le onde arrivino a cancellare la mia scritta, metto a fuoco e il click salva nel telefono il mio: “Io ero qui”. Il sole sta ormai scomparendo per andare a sorgere dall’altra parte del mondo. E’ tempo di tornare, curve, paesaggi, colline e pianure che mi fanno rivivere questa incredibile giornata. La Motorway number 16 che ci riporta a casa scorre veloce, come il tempo della sera che avvolge tutto dietro di noi… Ecco in lontananza Auckland con l’inconfondibile sagoma della Sky Tower; sembra un giavellotto che buca il cielo. L’ombra dell’Auckland Bridge, i grattacieli di Down Town nella city, le gru enormi del porto che si contrastano con l’arancione del tramonto. Le luci nervose della citta’ ci accolgono quasi bruscamente. Come sembra lontano adesso l’Alto Adige, l’odore del legno delle segherie alpine, il Settembred’Abruzzo di D’Annunzio, il bar di Helensville, il Kaipara River, l’Irlanda della chiesa campestre, la laguna di Kaipara Harbour, i fenicotteri delle mie lagune oristanesi, la sabbia nera di Muriwai. Tanti posti in uno solo…
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