Hawaii: la roccia nera era calda quasi come quando la terra l’aveva vomitato in quell’isola vulcanica. Il vento che soffiava dal mare scompigliava i rami delle palme ma non rinfrescava l’aria, e già pensavo alla sofferenza che i maratoneti avrebbero provato l’indomani. Sull’asfalto scuro come la linfa di un demonio risaltava l’arancione dei coni che delimitavano la carreggiata in due perfette metà: un’andata ed un ritorno che sembrava un viaggio verso l’inferno visto che tutt’attorno gli enormi massi neri contribuivano ad incamerare il calore del sole e restituire un’aria incandescente.
All’organizzatore chiesi se era convinto che quell’irrisoria separazione fosse sufficiente a far desistere i corridori dall’idea di passare dall’altra parte della strada, evitando di percorrere poco meno di una decina di chilometri. Lo sguardo che mi rivolse già evidenziava la stupidità della mia ipotesi e le sue parole lo confermarono: “Perché un corridore non dovrebbe percorrere l’intera distanza?”
Il giorno dopo la competizione incontrai l’organizzatore che m’invitò a fare colazione al suo tavolo e mi comunicò che la mia ipotesi era corretta: “Un corridore non è transitato al controllo del 24° chilometro”. Mi chiese se fosse giusto squalificarlo perché era la prima volta che ciò succedeva in una ventina di edizioni. “Perché lo chiedi a me?” ribattei. “Si tratta di un italiano”.
Ci sono domande alle quali faccio fatica a trovare una semplice risposta per mia figlia di sette anni. Si tratta di quesiti per i quali devo consultare un’enciclopedia, ma se mi chiedesse perché un podista accorcia il percorso di una competizione evitando di completare la distanza della gara non saprei risponderle. Ipotizzerei che quell’individuo vorrebbe apparire agli occhi della gente più grande di com’è nella realtà. Molto probabilmente soffre di una sindrome d’inferiorità e si sente come un lillipuziano. Senza dubbio soffre, ma non per quel disagio che i corridori di resistenza sono soliti avvertire sotto sforzo, ma soffre per una personalità inadeguata che non sa accettare.
Mi dispiace pensare che al via di una competizione ci siano corridori che hanno già premeditato l’irregolarità della loro prestazione, e che invece di correre concentrati ad esprimere il meglio del proprio potenziale sono in tensione per mettere in atto il loro piano tattico fraudolento. E mi chiedo come riescano successivamente a sviluppare quell’abilità di convivere con l’idea che la loro prestazione è corretta.Gareggiare da imbroglione è un’attività universale; i podisti lillipuziani popolano ogni competizione. Ho partecipato a corse internazionali nelle quali ho assistito a strategie tattiche fraudolente di vario tipo, alle quali ho quasi sempre risposto con un sorriso ironico davanti a tale manifesta inferiorità. Gli organizzatori poco possono fare per contrastare le irregolarità. Ricordo con divertimento la situazione pre gara ad una competizione in un’isola caraibica. Completato il riscaldamento ero ammassato in un piazzale nel quale come formiche operose che si spostano con frenesia, c’erano alcune centinaia di corridori ansiosi di scoprire in quale direzione sarebbe partita la corsa. Mi spiegarono che per evitare partenze anticipate e tagli di percorso l’organizzatore decideva il senso del tracciato solo qualche istante prima della partenza. Di lì a poco l’organizzatore, in un angolo della piazza tracciò per terra, con un gesso bianco, un segno sbilenco ed una manciata di secondi più tardi urlò, puntando l’indice ed il braccio teso, “di là”.
E tutti partimmo all’impazzata.
Articolo tratto dal blog di Orlando Pizzolato.
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