Intervista a Gaia De Pascale che nel suo libro “Correre è una filosofia” ripercorre vicende, personaggi, storie reali e immaginarie per giungere alla conclusione che la corsa è “un modo di stare al mondo”
Cos’hanno in comune Forrest Gump, Pinocchio, Murakami Haruki, le donne spartane e i rivoluzionari giacobini? Corrono. Ce lo racconta Gaia De Pascale nel suo affascinante saggio Correre è una filosofia (Ponte alle Grazie) che incrocia vicende reali, storie immaginarie, riferimenti letterari, musicali, sportivi e cinematografici in modo lieve e gustoso. Sinonimo di libertà, la corsa è un modo per sognare, una maniera per mettersi alla prova: “riconquista del corpo, risposta a un richiamo atavico.
Esigenza di ritornare a un tempo dimenticato”. Una via per venire a patti con il dolore, anzi per assaporarlo: ”assumerlo su di sé per poi lasciarselo alle spalle e godere di quello − quel molto − che resta. C’è un nome per descrivere tutto questo, ed è resilienza”. Una forma di tenacia che possiamo riscoprire tutti, basta uscire a correre. Magari avendo in mente ciò che diceva Friedrich Nietzsche: “Da quando ho imparato a camminare mi piace correre”.
Se Correre è una filosofia, la corsa è anche una categoria dello spirito?
«Più che altro correre è un’attività che rafforza lo spirito, perché è un modo per guardare alla vita in maniera diversa: esplorando le proprie possibilità fino in fondo, fronteggiando i propri limiti e imparando ad accettarli, prima ancora che a superarli».
«Più che altro correre è un’attività che rafforza lo spirito, perché è un modo per guardare alla vita in maniera diversa: esplorando le proprie possibilità fino in fondo, fronteggiando i propri limiti e imparando ad accettarli, prima ancora che a superarli».
Cosa le ha insegnato frequentare e scrivere di Marco Olmo, una leggenda delle corse estreme?
«Marco Olmo mi ha insegnato che non è mai troppo tardi. C’è sempre un punto dal quale ricominciare, un evento dal quale ripartire, anche quando sembra di avere in mano solo le carte sbagliate, anche quando non c’è nessuno pronto a scommettere su di te. E mi ha insegnato anche che qualunque sfida, anche sportiva, parte dalla testa molto prima che dal corpo o dalle caratteristiche fisiche. A livello pratico scrivere insieme a lui mi ha insegnato che dentro ogni vita c’è un potenziale romanzo che aspetta solo il suo momento per emergere e farsi scrittura».
«Marco Olmo mi ha insegnato che non è mai troppo tardi. C’è sempre un punto dal quale ricominciare, un evento dal quale ripartire, anche quando sembra di avere in mano solo le carte sbagliate, anche quando non c’è nessuno pronto a scommettere su di te. E mi ha insegnato anche che qualunque sfida, anche sportiva, parte dalla testa molto prima che dal corpo o dalle caratteristiche fisiche. A livello pratico scrivere insieme a lui mi ha insegnato che dentro ogni vita c’è un potenziale romanzo che aspetta solo il suo momento per emergere e farsi scrittura».
Il suo libro è nutrito di storie reali, di riferimenti letterari, di leggende, di citazioni cinematografiche e musicali. Come ha scelto questi materiali? C’è un denominatore comune?
«Sì, il denominatore comune sono proprio le storie. La corsa, prima ancora che come sport, ha cominciato a interessarmi proprio per il suo potenziale epico, per le vicende di resilienza, passione e fatica che da sempre porta con sé, perché ogni corsa che si rispetti è in fondo un racconto con le sue gioie, le sue cadute, e la sua voglia di arrivare in fondo a qualunque costo. Ho sempre considerato la corsa come metafora della vita, e come metafora della narrazione».
«Sì, il denominatore comune sono proprio le storie. La corsa, prima ancora che come sport, ha cominciato a interessarmi proprio per il suo potenziale epico, per le vicende di resilienza, passione e fatica che da sempre porta con sé, perché ogni corsa che si rispetti è in fondo un racconto con le sue gioie, le sue cadute, e la sua voglia di arrivare in fondo a qualunque costo. Ho sempre considerato la corsa come metafora della vita, e come metafora della narrazione».
Quali sono le motivazioni che spingono la gente a correre nella società occidentale?
«Penso che la maggior parte delle persone inizi a correre semplicemente per tenersi in forma, per fare un’attività all’aria aperta che non necessiti di particolari attrezzature o competenze tecniche. Ma dopo qualche chilometro i casi sono due: o si smette di correre non appena passano le condizioni climatiche ideali, perché nel correre non si è trovato nulla di speciale, oppure ci si “innamora” e si scopre che la corsa è molto di più di un buon mezzo per superare la “prova costume”: è un modo di stare al mondo».
«Penso che la maggior parte delle persone inizi a correre semplicemente per tenersi in forma, per fare un’attività all’aria aperta che non necessiti di particolari attrezzature o competenze tecniche. Ma dopo qualche chilometro i casi sono due: o si smette di correre non appena passano le condizioni climatiche ideali, perché nel correre non si è trovato nulla di speciale, oppure ci si “innamora” e si scopre che la corsa è molto di più di un buon mezzo per superare la “prova costume”: è un modo di stare al mondo».
La nascita dello sport come ha mutato il rapporto fra l’uomo e la corsa?
«Di certo lo sport ha disciplinato la corsa, gli ha dato delle regole, l’ha suddivisa nelle più disparate categorie, ha introdotto l’agonismo e ha fissato gli obiettivi. Ma nel correre c’è sempre qualcosa al contempo di infantile e ancestrale, ed è anche in questo che risiede il suo grande fascino».
«Di certo lo sport ha disciplinato la corsa, gli ha dato delle regole, l’ha suddivisa nelle più disparate categorie, ha introdotto l’agonismo e ha fissato gli obiettivi. Ma nel correre c’è sempre qualcosa al contempo di infantile e ancestrale, ed è anche in questo che risiede il suo grande fascino».
Cosa si perde chi non ha mai corso? E perché dovrebbe iniziare?
«Io penso che chi non ha mai corso si perda soprattutto la grande gioia di scoprire che ce la può fare. Io non ho mai trovato nessun buon motivo per iniziare a correre. Semplicemente, un giorno, mi sono detta: e perché no?».
«Io penso che chi non ha mai corso si perda soprattutto la grande gioia di scoprire che ce la può fare. Io non ho mai trovato nessun buon motivo per iniziare a correre. Semplicemente, un giorno, mi sono detta: e perché no?».
Massimo Rota
Per entrare nel sito "Oggi, benessere" clicca qui.
Nessun commento:
Posta un commento