E’ QUALCOSA CHE SAI GIA’ BENE MA PREFERISCI IGNORARE
L’industria alimentare si basa quasi interamente su una serie di menzogne vendute a buon mercato. Bastano delle foglie di lattuga che svolazzano, fresche, in una pubblicità o una famigliola felice e sorridente riunita attorno ad un pollo ben cucinato per illudere il consumatore che quel prodotto sia del tutto naturale. Ma cosa c’è dietro? Proviamo a tracciare una linea di demarcazione tra ciò che vogliono farti credere e ciò che realmente compri. E’ necessario, soprattutto se il cibo che si acquista non ha nulla a che fare con quello dedotto nell’etichetta. Poniti qualche domanda la prossima volta che dovrai comprare…
Le spezie esaltano il sapore degli alimenti e rendono più gustoso un pasto, in modo del tutto naturale. Questo è quanto l’industria alimentare vuol farti credere, ma la realtà è ben altra. Da anni l’Unione Europea mostra “tolleranza zero” verso la contaminazione di miele da parte di pollini ogm, vietandone la vendita senza apposita autorizzazione. Tuttavia negli ultimi 2 anni l’Italia ha triplicato l’importazione di questa prelibatezza dalla Cina, che, insieme all’Argentina, contribuisce al 55% del miele consumato nello Stivale. Cosa non torna? Che in questi due paesi il polline può essere contaminato da organismi geneticamente modificati. In questo modo decade la garanzia che il miele importato sia Ogm free. Insomma, fatta la legge, trovato l’inganno. Tenendo conto che l’Italia importa circa metà del proprio fabbisogno annuale di miele dall’estero, è più che probabile che i cittadini del Belpaese consumino miele contaminato (o per lo meno non controllato per riscontrarne eventuale presenza). Del resto basta prenderne una confezione per rendersi conto che il mercato del miele gira tutto intorno alla poca trasparenza. Gira il tuo barattolo di vetro ambrato e leggi l’etichetta: sotto tutte quelle belle e rassicuranti scritte italiche, cosa si dice riguardo la provenienza? Proprio così…
Ti sei mai chiesto come vengono fatti quei gustosi Nuggets o le così tanto amate Cotolette di Pollo che sei abituato a sgranocchiare? E se ti dicessi che quello che mangi non e’ esattamente ciò che sei abituato a vedere nelle vetrine del macellaio? Purtroppo è così, dietro ad ogni crocchetta o cotoletta di pollo pre-confezionata si nasconde una catena di produzione degna di un film horror. Tutto ha inizio con la selezione del pulcino: subito dopo la schiusa delle uova, quasi il 50% dei neonati, ritenuto inutile per la filiera produttiva, finisce (ancora vivo) in un tritacarne, per poi essere venduto come concime per i campi, o come mangime per gli animali domestici. Al rimanente 50% spetta una sorte peggiore. I sopravvissuti vengono stipati in piccole gabbiette, grandi pressapoco come un foglio da stampante, sporche e puzzolenti. I lager sono enormi, non possiedono ricicli d’aria. La vita negli allevamenti provoca pazzie, allucinazioni ed istinti suicidi. Costretti a beccare l’unico cibo che gli viene proposto – un pastone arricchito con ormoni della crescita ed antibiotici – un pulcino diventa “pollo” in appena 36 giorni (una crescita naturale richiederebbe il quadruplo del tempo) ed ucciso il 40 esimo giorno dalla sua nascita. Proprio così, sembrano polli ma sono neonati. Inutile aggiungere che questo procedimento può comportare gravi rischi per la salute, negli allevamenti intensivi, i polli non hanno la possibilità di muoversi liberamente, questa limitazione fa si che gli ormoni somministrati quotidianamente non vengano “smaltiti” e rimangano nella loro carne, non è quindi difficile intuire chi sarà il “beneficiario” di tutti i pericolosi farmaci.
A questo punto starai pensando: “Ok, adesso l’hai sparata grossa! Cosa c’entra il legno con il cibo?”. Ti spiego subito, sai cosa fanno le industrie alimentari con l’elemento principale del legno, la cellulosa? La nascondono dietro un nome fantasioso ed invitante e te la vendono come cibo! Proprio così! La cellulosa può essere utilizzata, nelle ricette delle grandi industrie alimentari, come sostituto economico dell’olio e della farina. Ecco le sigle con cui possiamo riconoscere la presenza di cellulosa e derivati tra gli ingredienti dei prodotti alimentari:
Cellulosa (E460i)
Cellulosa (E460i)
Metil-cellulosa (E461)
Etilcellulosa (E 462)
Idrossi-propil-cellulosa (E 463)
Idrossi-propil-metilcellulosa (E 464)
Etilmetilcellulosa (E 465)
Carbossimetilcellulosa (E 466 )
Essi trovano impieghi come additivi nei biscotti e nei cereali “ricchi di fibre” e nei cibi più disparati: dessert, budini, salse, gelati, piatti pronti, insaccati,yogurth, low-fat products, prodotti gluten-free. La cellulosa ed i suoi derivati non sono vengono digeriti. Queste caratteristiche insieme alla capacità di essere fermentate dalla flora batterica intestinale, ha permesso l’inclusione dei derivati della cellulosa nell’elenco delle fibre alimentari, in accordo con il documento “Statement of the Scientific Panel on Dietetic Products, Nutrition and Allergies on a request from the Commission related to dietary fibre”
E’ il simbolo dell’Italia sana, quella che lavora e che mangia mediterraneo. E’ la metafora delle nostre coste, ricche di uliveti e di vecchi contadini che si prodigano infaticabili nella spremitura della preziosa sostanza dorata. Ciò che in realtà c’è da sapere è che per quanto folle possa sembrare, la pirateria olio d’oliva è una delle imprese più redditizie della mafia italiana. La denuncia piove dritta dagli Stati Uniti. Sei mesi di lavoro, e in sette pagine di inchiesta fitte fitte il settimanale New Yorker denuncia l’Italia come l’Eldorado dell’olio adulterato. Un paese in cui spacciare una miscela di oli scadenti per pregiato extravergine made in Italy, è redditizio quanto il traffico di cocaina, ma con molti meno rischi. Le tesi del giornale americano sembrano confermate in parte anche dai dati ufficiali. Solo lo scorso giugno la Guardia di Finanza ha scoperto ancora in Puglia una frode da otto milioni di euro. Partite di olio tunisino, greco e spagnolo venivano vendute come extravergine italiano. E a dare una scorsa ai numeri emersi a conclusione del programma straordinario coordinato dall’ Ispettorato repressione frodi, non si tratta certo di una scoperta isolata. In soli tre mesi, da gennaio al 31 marzo, il coordinamento di Guardia di Finanza, Agenzia delle Dogane, Guardia Forestale ed ilNucleo antifrodi dei Carabinieri, ha consentito di effettuare controlli su 787 operatori, per un totale di 54 milioni di litri di olio di oliva ( si fa per dire ). Le irregolarità riscontrate sono state 176, vale a dire più di un operatore su cinque, i sequestri sono stati 13, per 90 mila litri di prodotto. Un risultato ottenuto grazie alla “straordinarietà” dei controlli che si sono avvalsi di esami chimici e organolettici. Spesso è stato proprio l’assaggio a segnalare un problema che altrimenti non sarebbe emerso. Le irregolarità più frequenti, manco a dirlo, sono legate alla scoperta di “prodotti stranieri spacciati per nostrani, extravergini che si sono rivelati miscele di oli di semi di pessima qualità”. I soli numeri delle importazioni di oli di semi potrebbero indurre a qualche sospetto. Secondo i dati dell’Ismea, ne importiamo all’anno circa 800 mila tonellate, ma i consumi domestici si attestano intorno alle 140 mila tonnellate. Dove finiscano le restanti 660mila tonnellate è impossibile saperlo, perchè la parte di oli acquistati e utilizzati dall’industria alimentare non è documentata.
Sicuramente avrai sentito parlare dello Yogurt che fa bene all’intestino, o dei cereali che purificano la pelle. Come non ricordarsi di quelle patatine che curano il tifo? Sappiamo benissimo che è stato debellato da secoli, ma mangiando quelle patatine comunque nessuno ha mai contratto quel tipo di malattia. E’ il celebre “procedimento per illazioni”, ovvero: si trae una conclusione plausibile da delle premesse non verificate. Un po’ come dire che leggere questo articolo protegge la terra dalla collisione con gli asteroidi. Il ragionamento che le industrie alimentari seguono è semplicissimo: se devo scegliere tra due prodotti che compro abitualmente, preferisco acquistare quello che fa bene alla salute, anche se costa un po’ di più. Questa “moda della salute alimentare”, manco a farlo apposta, è nata nel 2002 negli USA quando molti anonimi alimenti di uso corrente guadagnarono improvvisamente dei superpoteri. La tecnica si chiama Qualified health claims (indicazioni autorizzate sulla salute), un termine vuoto che consiste essenzialmente in un potenziamento delle campagne di marketing dei prodotti. E così, da un giorno all’altro, un bicchiere di coca-cola fa bene alla salute.
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