Gli allenamenti intervallati che sostenevo da giovane podista erano piuttosto semplici: percorrere frazioni di un centinaio di metri. Non era uno sforzo rilevante, tanto che spesso sostenevo più prove rispetto a quelle che l’allenatore mi assegnava. Era davvero semplice passare da 20 a 30 ripetizioni, e tutto sommato anche spingermi fino ai 50. Ma non solo: con il mio compagno di allenamenti (Fulvio Costa, forte mezzofondista e dotato di elevato potenziale, ma scomparso prematuramente) abbiamo fatto il grande balzo in un paio di occasioni, arrivando a … 100. La parte difficile, com’è facile intuire, era il conteggio delle prove, ma suddividendoci tra pari e dispari, tenere il conto era tutto sommato semplice, Nel dubbio si arrivava comunque a 2-4 prove in più!
Una seduta con 100 allunghi da 100 metri può essere considerata un allenamento di velocità o di resistenza? Entrambe le situazioni ovviamente. Percorrere cento metri al passo di una gara di cinque chilometri sollecita la potenza aerobica, e per sostenere tante prove ci vuole una buona tenuta perché si arriva a circa 25 chilometri. Senza trascurare ovviamente l’aspetto psicologico; ma da ragazzi di cose strane se ne fanno tante, vuoi per l’entusiasmo, vuoi per l’incoscienza, ma specialmente perché le energie sono sempre tante.
Con il passare degli anni gli allenamenti intervallati sono diventati sempre più impegnativi, in modo particolare per l’allungamento delle frazioni. Ma alcuni anni dopo il mio esordio podistico l’allenatore di quei tempi, il maratoneta sardo Antonio Ambu che risiedeva a Schio, mi ripropose le ripetute sui 100 metri. Mi affascinò spiegandomi che il coach neozelandese Arthur Lydiard proponeva lo stesso allenamento ai più forti fondisti di quel tempo, e si trattava non solo dei suoi connazionali, ma anche dei finnici. In quegli anni spopolava il nome di Lasse Viren, doppio campione olimpico sui cinque e diecimila metri a Monaco di Baviera e Montreal.
La seduta che Ambu mi proponeva non era il semplice ripetere le numerose frazioni di 100 metri al passo di una gara di cinque chilometri. L’aspetto più impegnativo era tenere corto il recupero: tra un allungo ed il successivo non doveva trascorrere più di 15 secondi!
Le prime sedute le svolsi con facilità. Dopotutto venti prove passano rapidamente (poco più di una decina di minuti) e la seduta finisce presto: con il riscaldamento ed il defaticamento bastano quaranta minuti per uno stimolo davvero elevato. All’inizio della preparazione, il periodo invernale in vista delle corse campestri regionali, svolgevo due sedute la settimana. Dopo un mese di preparazione questo allenamento, da Ambu definito “ammazza e spremi”, passava ad una sequenza settimanale. Ogni settimana aumentavo il carico di cinque prove, fino ad arrivare a cinquanta ripetizioni, e quindi la “facilità” delle prime sedute era solo un ricordo. La mia condizione era però cresciuta davvero molto, ed un allenamento intermittente di poco meno di mezz’ora non mi preoccupava come indurre a pensare l’elevato numero di ripetizioni. Per rendere lo stimolo allenante ancora più specifico svolgevo la seduta sull’erba per addestrarmi all’appoggio condizionato delle corse campestri. In un prato mi ero segnato un rettangolo con i lati più lunghi che misuravano cento metri e quelli stretti solo una trentina, che in parte percorrevo con la decelerazione dall’allungo.
Come è facile intendere, l’abilità per svolgere al meglio l’allenamento intermittente è dosare lo sforzo: tirare troppo nelle prime prove comporta un elevato accumulo di acido lattico, ed in tale circostanza il rendimento ne risente. Lo sforzo deve quindi essere ben dosato, altrimenti ci si ferma dopo poche prove. L’allenamento intermittente rappresenta quindi anche una valida opportunità per imparare a gestire lo sforzo.
I vantaggi fisiologici di una seduta di allenamento intermittente sono numerosi: aumento del massimo consumo di ossigeno, si migliora la capacità di sopportare l’acido lattico e allo stesso tempo le fibre muscolari migliorano la capacità di smaltirlo. Inoltre, aumenta la gittata sistolica, la quantità di sangue che il cuore mette in circolo ad ogni battito. Si devono anche considerare i vantaggi meccanici: capacità di sostenere cambi di ritmo (ottimo per i cross e le gare su strada in circuito e con saliscendi) e migliorare la reattività della spinta dei piedi.
Tali caratteristiche fisiologiche sono specifiche per i corridori che si dedicano alle corse brevi, cinque e dieci chilometri. Personalmente ho avuto rilevanti vantaggi nella preparazione delle corse campestri, competizioni non adatte alle mie caratteristiche fisiologiche perché ero privo di forza muscolare e da sempre ho sofferto i cambi di ritmo. I miei migliori anni di crossista sono stati quelli dal 1978 all’83 con ottimi piazzamenti, anche se nelle corse campestri fangose finivo sempre per piantarmi.
Le sedute di allenamento intermittente le ho sfruttate con profitto anche per le corse in salita, nelle quali eccellevo fino a quando le pendenze mi consentivano di procedere di corsa. L’applicazione era sempre la stessa: 100 metri svelti e 30 lenti, ma su salita continua. In questo caso sbagliare l’impostazione dello sforzo poteva essere drammatica perché dopo poche prove mi scoppiava il cuore ed ero costretto a camminare, situazione che il podista mal tollera.
L’applicazione dell’allenamento intervallato è vantaggiosa in estate perché consente di svolgere in poco tempo una sollecitazione molto allenante, concentrata in uno spazio di tempo davvero contenuto. Inoltre, scegliendo un posto ombreggiato si riesce a non soffrire oltremodo gli effetti del sole e del caldo. Nelle mie trasferte invernali ai Caraibi, quando sfruttavo gli inviti per gare su strada per trascorrere un periodo al caldo, sfruttavo gli effetti allenanti delle sedute intermittenti perché il clima afoso era molto sfavorevole per svolgere sedute intervallate classiche (ripetute medie e lunghe). Inoltre, nelle trasferte all’estero non è facile trovare percorsi adatti per allenarsi e quindi ci si rifugia in piccoli circuiti stradali. Ricordo di un transito a Los Angeles per una notte: avevo l’albergo tra due piste di atterraggio ed appena uscivo dall’hotel il traffico era devastante. Trovato un tratto di strada abbastanza tranquillo, appena oltre una zona un po’ degradata e fitta di sexy shop, me la sono cavata proprio con un “ammazza e spremi”.
La seduta di lavoro intermittente può quindi essere una sorta di salva allenamento quando si ha poco tempo a disposizione, uno spazio limitato ed anche quando si vuol far salire in fretta la condizione di forma. L’elevata sollecitazione che induce questo stimolo porta il cuore a lavorare a regimi sostenuti per un alcune decine di secondi, impegno che un po’ tutti si riesce a sostenere anche quando non si è appunto in forma. Tale sollecitazione stimola con grande efficacia la reazione del sistema centrale. Come riferito si può iniziare con poche prove, anche solo una ventina, vale a dire un paio di chilometri. L’allenamento intermittente è utile anche al maratoneta, ovviamente non nella fase di preparazione specifica quando le caratteristiche fisiologiche da allenare sono ben altre. Si può svolgere qualche seduta intermittente prima di iniziare la preparazione specifica (che di solito dura 10-12 settimane) per aumentare la potenza del motore. Particolarmente indicato è inserirle dopo aver corso i 42 chilometri; trascorso il periodo di rigenerazione dalla maratona (2-4 settimane) converrebbe sfruttare il tanto lavoro aerobico fatto in precedenza. Con stimoli brevi e ripetuti i muscoli ritrovano potenza ed il cuore elasticità. Sarebbe come recuperare giovinezza atletica.
Orlando
Articolo pubblicato su Correre a Novembre 2011 (n° 325).
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