Il primo elemento che osservo quando ogni mattina seguo gli indici di borsa, è il trend. Per un trader che mette i soldi sul mercato e vuole che le proprie operazioni abbiano successo, è fondamentale seguire appunto la direzione del mercato.
Per un podista, in modo particolare per chi si dedica alle lunghe distanze, la prima regola per conseguire un risultato positivo è mantenere un passo costante.
Per entrambi è necessario disporre di punti di riferimento per seguire gli sviluppo; spesso è la sensibilità che nasce dalla pratica e dall’esperienza, in altri casi da strumenti specifici.
Il primo utilizza indicatori che originano da formule matematiche, il secondo si serve del cronometro, e meglio ancora del cardiofrequenzimetro, tutto ciò per monitorare l’andamento.
La stabilità della situazione è per entrambi però in un equilibrio precario ed il trend favorevole in origine può facilmente modificarsi, in peggio ovviamente. Per il trader ci possono essere abbassamenti non significativi dei prezzi, per il podista si può verificare un rallentamento del ritmo. Se si tratta di episodi occasionali determinati da aspetti tecnici (per esempio un tratto di strada in falsopiano nel caso podistico), non ci si preoccupa. I segni del deterioramento non sono di solito improvvisi e ad occhi esperti ed attenti si manifestano con leggere alterazioni dello stato basale. Per il trader un oscillatore può rilevare uno stato di ipercomprato, per il podista si può rilevare un leggero innalzamento della frequenza cardiaca. Entrambe sono indicazioni che vanno tuttavia prese in considerazione per evitare situazioni di crisi, molto difficili da gestire, spesso impossibili da risolvere. Ciò vale per gli amatori di ambedue le circostanze. Per gli “speculatori” di entrambi i settori arriva invece un’opportunità da sfruttare: i primi vanno al ribasso e guadagnano quindi sui cali di mercato, i secondi scattano per cercare di sbloccare la situazione e mascherare agli avversari una situazione di difficoltà; ma siamo nel territorio dei “keniani”.
L’alterazione che può peggiorare la tendenza tattica, e quindi mettere in guardia il podista, è la cosiddetta deriva della frequenza cardiaca, vale a dire un aumento delle pulsazioni nonostante il ritmo di corsa resti inalterato.
Come mai succede questo? Con il passare dei chilometri di corsa nel corpo si manifestano una serie di processi fisiologici che portano ad una perdita di efficienza. Tra i tanti i più significatici sono:
a) consumo del glicogeno
b) perdita di liquidi
c) affaticamento muscolare
a)Quando si procede a buon ritmo, come avviene per gran parte delle competizioni di resistenza, i muscoli producono energia utilizzano il glicogeno, una risorsa limitata. Con il progressivo abbassamento delle riserve i muscoli ricorrono all’utilizzo dei lipidi, un elemento che richiede un maggior apporto di ossigeno. Per “bruciare” un grammo di grassi serve quasi il doppio dell’ossigeno rispetto ad un grammo di glucosio.
Per far arrivare più ossigeno ai muscoli il cuore deve pompare più sangue in circolo, o meglio, lo fa scorrere in giro più velocemente.
b) La perdita di liquidi, gran parte dissipati con la sudorazione, determina un aumento di attività del processo di termoregolazione. Per mantenere la temperatura corporea entro livelli fisiologici, il sangue viene inviato ad una superficie del corpo sempre più ampia. Anche in questo caso è il cuore che deve farsi carico del compito.
c) In seguito alle innumerevoli contrazioni muscolari e alle sollecitazioni che si generano ad ogni contatto con i piedi sull’asfalto, la fatica aumenta chilometro dopo chilometro. La conseguente stanchezza porta ad un deterioramento dell’azione di corsa: i passi si accorciano (per la minor spinta), il contatto dei piedi a terra dura più lungo e l’impatto è più pesante. Inoltre, i muscoli non assorbono al meglio le forze che originano dal contatto con la strada ed essere si scaricano e diffondono con sempre maggior intensità sulle giunture e sulle articolazioni. La corsa si fa più pesante, gravosa e si spendono più energie, proprio nel momento in cui ce ne sono sempre di meno. Anche in questo caso è il cuore che deve farsi carico del lavoro per mantenere un adeguato flusso di materiale energetico ai muscoli.
L’aumento della frequenza cardiaca sotto sforzo rileva quindi che il corpo sta perdendo sempre più efficienza. Insomma, si tratta di uno stato di allerta che non andrebbe del tutto ignorato sebbene sia, come evidenziato, fisiologico che si verifichi un progressivo aumento dell’impegno di tutto il corpo mano mano che si procede verso il traguardo.
La deriva della frequenza cardiaca si verifica in tutti gli atleti, pure tra i più forti perché anche il loro corpo risente degli effetti dello sforzo, della fatica e della stanchezza. La differenza si evidenzia però nei tempi e nell’ampiezza del fenomeno. In linea di massima, con variazioni anche piuttosto marcate da soggetto a soggetto, i primi segni della deriva della frequenza cardiaca si notano dopo un’ora e un quarto circa di gara. Nei top runner impegnati in maratona si manifesta uno scostamento delle pulsazioni verso l’ora e mezza. Più tardi si alzano le pulsazioni, tenendo sempre un ritmo costante e procedendo in pianura, più efficiente è il sistema fisico e quindi più allenato e affidabile è l’atleta. Si deve anche considerare che ci sono podisti che rilevano un allontanamento delle pulsazioni dal range di crociera molto più tardi, anche dopo un paio d’ore dal via, ma si tratta di soggetti che finiranno la prova molto dopo e che quindi procedono ad un passo veramente agevole, tale da non logorare l’efficienza fisica.
Per valutare l’efficienza di un atleta al passo gara si deve anche prendere in considerazione l’entità dell’aumento delle pulsazioni. Per i top runner e i corridori efficienti la deriva raggiunge un differenziale medio di 5 pulsazioni, con un massimo di 7-8, mentre i podisti meno adattati allo sforzo i valori possono anche raddoppiare.
E’ la seduta a ritmo maratona, e/o la corsa media, a fornire indicazioni accurate sul livello di efficienza. Nel primo medio della stagione, che dura 30 minuti perché la mia efficienza è ridotta, la deriva si verifica già ai 20 minuti e finisco la seduta con l’impegno di un corto veloce invece che di un medio. La massima efficienza la riscontro invece quando la corsa media arriva ad un’ora e un quarto e la deriva quasi non si verifica.
In definitiva, per verificare il proprio livello di efficienza prima di correre una maratona è molto utile valutare quanto costa, in termini d’impegno fisico tangibile, correre al passo della gara. I dati del cronometro evidenziano un responso oggettivo, esterno al contesto dello sforzo fisico e questi valori andrebbero correlati alla risposta del corpo alla sollecitazione. Spesso un’atleta si limita a percorrere in allenamento una distanza inadeguata per verificare se è fisicamente pronto per correre la maratona. Non sono appunto solo i dati dei chilometri e delle andature a fornire il favorevole responso per l’imminente competizione; la conferma degli adeguati adattamenti dovrebbe pervenire dal “tenuta del motore” fisico, che non s’imballi con il passare dei chilometri. Percepire in anticipo il rischio del “fuori giri” è un modo per prevenire rilevanti difficoltà nei chilometri a seguire.
Orlando
Articolo pubblicato su Correre a Gennaio 2012 (n° 327).
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