L’allenamento è la via per migliorare l’efficienza fisica e quindi le prestazioni. Ogni podista, con variabili molto soggettive, cerca l’aumento della propria capacità fisica vuoi per correre più velocemente, o per durare di più, o anche semplicemente per sostenere lo sforzo senza … morire di fatica e tagliare così il traguardo con il sorriso sulle labbra.
L’affermazione più allenamento, maggior rendimento, ha una logica lineare valida fino a quando non si supera la capacità di recupero dell’organismo, entrando in un ambito in cui gli sforzi non portano ad un miglioramento ma ad un peggioramento. Difficilmente però un amatore giunge al vertice della parabola delle sollecitazioni; dall’osservatorio privilegiato del mio lavoro noto che la gran parte degli amatori non ne percorre nemmeno la metà di questa traiettoria, lasciando insondato il proprio potenziale. Un podista amatore in pratica mai si spinge alla soglia delle “colonne d’Ercole”, anche se spesso pensa di esserci arrivato.
La fatica che si genera dalle sedute che svolge non è dovuta al grado di allenamento, bensì al ridotto livello di efficienza. Mi spiego meglio: un maratoneta che percorre quaranta chilometri la settimana e sostiene una seduta di quaranta chilometri, svolge in una sola occasione uno sforzo pari al 100% del proprio carico settimanale. E’ quindi comprensibile quanto sia elevato lo sforzo e quali le conseguenze muscolari che ne derivano. Per un maratoneta che percorre ottanta chilometri la settimana, la seduta di quaranta non è così spacca gambe: il rapporto si dimezza (prima era 1:1, in questo caso è 1:2). Un corridore che in otto giorni totalizza invece centoventi chilometri, avverte con minori conseguenze e disagi l’impegno di percorrere quaranta chilometri tutto d'un fiato. L’investimento su questa distanza vale un terzo del totale del proprio patrimonio chilometrico (rapporto 1:3).
E' quindi evidente, a fare più fatica, e soffrire maggiormente, sono sempre i soggetti meno allenati. E non si tratta solo dei “disagi” avvertiti nel corso dell’impegno: quanto speso in termini di stress si espande nel corso delle giornate che seguono. Riferendosi ai danni che un allenamento impegnativo determina, il riequilibrio del livello fisiologico richiede molto più tempo per i meno preparati.
Se l’indirizzo tecnico a cui dirigersi per garantirsi il miglioramento delle prestazioni fosse solo l’aumento del carico, si tratterebbe semplicemente di percorrere più chilometri.
Senza dubbio questa è in ogni caso la prima scelta da adottare. Sostenere allenamenti più lunghi aumenta il patrimonio aerobico, e chi non vorrebbe essere il Paperon de Paperoni della corsa? Come lo zio dei fumetti diventato più ricco per l'accumulo di cent dopo cent, nelle prestazioni aerobiche si diventa facoltosi accumulando chilometri su chilometri. Non è quindi una ricchezza che nasce dalla “vittoria alla lotteria” (leggi un “lungo” fatto ogni tanto), ma è un capitale fatto di lavoro e dedizione.
Perché non si riesce ad applicare questa regola “benedettina”? Troppe le tentazioni delle corse domenicali che portano a disperdere le occasioni di allenamento. I podisti in genere non si allenano ma corrono, trascurando quindi la programmazione. Senza un’organizzazione degli allenamenti non si prepara il terreno delle prestazioni, ed anche un bambino comprende che senza seminare non si raccoglie, salvo che non ci si accontenti delle erbacce.
L’humus podistico è la corsa lenta, e si sa che quando si corre piano si deve durare. Dopo tutto nessuno semina oggi per raccogliere domani. Gli effetti fisiologici del lavoro aerobico sono davvero indispensabili per ottimizzare le prestazioni.
Correndo piano si verifica:
aumento del volume del cuore, che ad ogni contrazione spinge così più sangue verso i muscoli,
aumento della rete di capillari, piccolissimi vasi sanguigni che portano sangue alle fibre muscolari,
aumento del numero di mitocondri, le centraline energetiche del lavoro aerobico, nei muscoli,
aumento degli enzimi aerobici, che rendono più efficiente il metabolismo energetico aerobico,
miglioramento nell’efficienza metabolica: le fibre muscolari migliorano l’utilizzo degli acidi grassi come fonte energetica a favore così di un risparmio dei carboidrati.
A questo punto non si dovrebbe esitare nel percorrere più chilometri, perché si deduce facilmente che ogni sforzo viene tollerato dal corpo con maggior efficacia ed il recupero si accorcia.
Ma quando si possono percorrere parecchi chilometri se non nel fine settimana, visto che le giornate infrasettimanali sembrano non poter contenere tutto ciò che vorremmo fare? Ma allenamento e gare sulla bilancia della programmazione non trovano equilibrio, seppur c’è chi i pesi cerca di livellarli ingegnandosi con alterati stratagemmi. Venti chilometri a passo aerobico non possono essere sostituti con una corsa di mezza maratona. Gareggiando per ventuno chilometri non si vanno a toccare i tasti dei meccanismi elencati qualche riga sopra, ma si allena un diverso sistema fisiologico.
In definitiva, per qualche settimana l’anno si dovrebbe essere atleti, e solo in seguito corridori. Questo significa riservare dapprima energie all’allenamento, lo stesso termine che usato all’inizio di questo pezzo, e poi alle gare.
Per alcune domeniche si dovrebbero quindi programmare sedute di corsa lunga lenta, che possono estendersi alle due anche se non si hanno si sta preparando gare lunghe. Correre per tanto tempo porta a rilevanti vantaggi fisici (quelli riportati poche righe sopra) la cui efficienza consente rapidi tempi di recupero.
Un efficace stratagemma utile a sollecitare l’organismo ed accelerare la rigenerazione fisica è allenarsi consecutivamente per alcuni giorni. Invece di correre a giorni alterni, inserendo così una giornata di riposo, ci si può allenare per due - tre giorni consecutivi e poi riposare per un altro paio. Contrariamente alla regola aritmetica che indica che pur cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non cambia, nel nostro caso modificare la sequenza delle sedute porta a dei vantaggi sul piano del recupero. In effetti, stressare l’organismo due – tre giorni consecutivamente determina una sollecitazione più marcata e la sommatoria di stimoli, per il meccanismo della supercompensazione, fa scattare la capacità di reazione del corpo.
Per migliorare le proprie capacità di recupero si deve considerare non solo l’aspetto organico ma anche il versante muscolare. Una pesante seduta evidenzia più facilmente la stanchezza dei muscoli rispetto all’affaticamento organico, in modo particolare al meno evidente stress ormonale. E’ più facile che un podista affermi di aver i muscoli indolenziti che le pulsazioni che non salgono.
Agire sul piano muscolare è apparentemente più facile: si devono rafforzare i muscoli con esercitazioni specifiche, meglio se usando sovraccarichi. In pratica, si tratta di andare in palestra e “fare i pesi”. Muscoli più forti consentono a) di correre con una meccanica migliore, quindi a parità di sforzo le falcate sono più ampie, b) di reggere meglio gli stress determinati dalle forze che si generano nella fase d’impatto dei piedi con il terreno.
Per il podista il potenziamento muscolare generale deve essere svolto con un carico limitato al 50% del massimale per ogni specifico esercizio. Per identificare il carico ottimale senza dover fare la prova massimale si prende come riferimento il numero delle prove da eseguire: il sovraccarico giusto (peso) è quello che consente di fare tecnicamente bene 20 ripetizioni per ogni esercizio, e che possono essere eseguite per 2-3 serie. Tra ogni serie il recupero deve essere uguale a quello della durata della prova. I gruppi muscolari da allenare sono quelli maggiormente coinvolti nel gesto della corsa: polpacci, cosce (sia la parte anteriore sia la posteriore), i glutei, gli addominali ed anche i dorsali. Si possono fare anche esercizi per le braccia, oltre agli addominali, nei momenti di recupero tra ogni esercizio (recupero tra le serie). Il recupero tra le varie serie non deve essere in ogni caso superiore ai 2’.
Orlando
Articolo pubblicato su Correre a Dicembre 2011 (N° 326).
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