Era una tiepida serata di maggio in un paese dell’entroterra veneziano, con luci e suoni ad esaltare un’atmosfera da sagra, infastidita solo dal primo brulicare di zanzare per fortuna ancora poco aggressive, forse scoraggiate dall’odore di olio canforato sparso sui muscoli.
Belle queste corse da paese perché la gente raggruppata ai bordi del percorso ti stimola e si esalta, come se mentre applaude pensasse alla meraviglia dei fuochi d’artificio o alla soddisfazione di aver vinto un pesce rosso. E quella gente me la vedevo sfilare velocemente di lato, tanto velocemente perché lì davanti a me avevo solo che qualche decina di metri da percorrere, a testa bassa, quasi al massimo impegno per irrompere da vincente sul traguardo. Gli applausi, le grida e le musiche delle giostre esaltavano la mia soddisfazione, ed ampliavano la soddisfazione dal vedermi ormai vincitore con uno sforzo tutto sommato marginale. Bè, avevo sorprendentemente distaccato i miei avversari senza che avessi profuso il massimo impegno e senza una loro reazione agguerrita. Una situazione che mi appariva un po’ strana. Com’era strano quel suono di campanella che percepivo nel marasma di suoni, confondibile con i rapidi rintocchi che annunciano l’inizio della messa, oppure lo scampanellio dell’ultimo giro delle giostre oppure…
Istanti prima che alzassi le braccia al cielo per la soddisfazione di tagliare il filo di lana, il sangue che fino a quell’attimo scaldava i miei muscoli, stava improvvisamente gelando il mio corpo. La campanella che sentivo non aveva il piacevole suono della fine delle lezioni di un sabato mattina da studente, ma mi annunciava che purtroppo avevo fatto male i compiti, contando un giro in meno. Distratto, o forse troppo concentrato-agitato, non avevo capito che i giri da fare erano dieci e mezzo, e quel pezzo di un intero mi aveva tradito. Con l’entusiasmo collassato come un castello di sabbia in riva al mare invaso dalle onde, ho superato il presunto traguardo sentendomi come la gazzella della savana, braccato da podisti con l’acquolina della vittoria, convinti che sarei stato il loro facile boccone nel giro di qualche centinaio di metri. Da vincitore a perdente. Che sensazione!
Tutto da buttare? Quasi. Tutto da rifare? No. A mio vantaggio c’era lo svantaggio degli inseguitori. A mio sfavore lo sforzo profuso per essere in una posizione favorevole. La pelle dell’orso del noto proverbio era quindi ancora in ballo. Quelli dietro erano convinti che fosse la mia. Ed anch’io là davanti ero convinto che quella da salvare fosse proprio la mia. Preda o predatore poco importa, e come riferisce quel noto detto tipico della savana, per entrambi è importante correre. Solo che i miei muscoli erano avvelenati da acido lattico. Per fortuna che quei dieci giri erano da sagra paesana, da giro di piazza, da correre tutto d’un fiato, quello che un po’ avevo ripreso pensando che, se non volevo cedere completamente, un po’ dovevo mollare. E così ho fatto; dopo tutto quelli dietro dovevano anche recuperare. Ma quanto? Se mi fossi girato lasciavo loro il vantaggio psicologico dal sentirmi braccato. La tanto odiata campanella mi stava aiutando. Uno, due, tre… sei circa, erano i secondi di vantaggio prima di sentirla risuonare, stavolta per loro. Un filo di vantaggio, un po’ di ossigeno da gestire in un giro che durava centoventi secondi. Anzi no, cento. Gli ultimi venti non si contano perché se sei il primo, quei cento metri finali sono una passerella, a volte stretta, molto sottile da rischiare anche di cadere, ma sempre immacolata perché accoglie le tue impronte. Lo sforzo è stato tanto, pieno di ogni energia potessi ancora mettere per far sì che la mia pelle non l’avessero gli altri.
Ma la sorpresa e la soddisfazione maggiore l’ho avuta dopo aver messo la medaglia al collo, quando l’avversario che mi è arrivato più vicino (a 8”!) mi confessò che era rimasto sorpreso del repentino allungo fatto con oltre un giro ancora da percorrere. Se gli orsi hanno i baffi, posso affermare che quella volta ci avevo riso sotto. Che soddisfazione pensare di aver vinto per… sbaglio. Non ho confessato questa “debolezza”, il mio errore, perché pensandoci bene poteva essere un’opportunità da sfruttare. Eh si, in altre due occasioni ho vinto per uno “sbaglio ricercato”, una volta addirittura in una gara sul miglio, in piazza a Mestre. Ancora rido di quella prova, non solo perché ho battuto i mezzofondisti veneti in auge in quel periodo, ma perché quello stesso giorno avevo già vinto la mezza maratona di Vigarano Maindarda. Non potendo confrontarmi con loro in volata, sia per la mia nota scarsa velocità, sia per la stanchezza del mattino, ho accelerato con impeto da metà gara, sfruttando il fatto che si dovevano superare anche quattro curve, in ogn’una delle quali aumentavo le spinte in modo da guadagnare qualche metro e disorientare gli avversari. Ho affrontato così il rettilineo finale (150 metri) con una ventina di metri di vantaggio.
Anticipare la volata non è però un aspetto tecnico agevole perché ci si trova già parecchio stanchi prima del traguardo, e percorrere qualche centinaio di metri con i muscoli saturi di acido lattico, è una circostanza davvero disagevole. Non è solo una questione fisica attuare con successo questa strategia d’anticipo; molto dipende anche dal riuscire a reggere e gestire elevate tensioni nervose. Con l’allenamento ci si abitua. Ecco alcune proposte tecniche da provare per puntare a padroneggiare una tattica strana ma efficace.
A: 200m a RG 10km + 100m RG 5km + 100m RG 10km
B: 200m a RG 10km + 200m RG 5km + 100m RG 10km
C: 200m a RG 10km + 200m RG 5km + 200m RG 10km
D: 100m a RG 10km + 100m RG 5km + 100m RG 3km + 100m RG 10km
E: 400m a RG 10km + 200m RG 5km + 400m RG 10km
F: 400m a RG 10km + 400m RG 5km + 400m RG 10km
G: 800m a RG 10km + 200m RG 5km + 100m RG 10km
Ogn’una di queste sequenze, anticipata da 3-5km di riscaldamento, va ripetuta alcune volte (3-5), ovviamente quanto si è in grado di sostenere senza che lo sforzo sia massimale.
Riportare distanze e ritmi è un modo per fornire indicazioni specifiche; non è tuttavia necessario un approccio così schematico. Si possono usare circuiti in natura, nei parchi, sui campi o in qualsiasi altro luogo; importante è disporre di punti di riferimento precisi. A parole sembra semplice applicare i cambi di ritmo, ma quando ci si trova nel momento di decidere, sembra che gambe e testa si alleino e diventino remissive. Per vincere questo letargia io scelgo un punto specifico, un sasso, un cespuglio d’erba, un segno sull’asfalto, dal quale aumentare il passo, o anche semplicemente impegnarmi ad incrementare lo sforzo. E’ da questo punto che la situazione si fa sempre più critica, passo dopo passo. Spesso non si riesce a completare la distanza preventivata. In questo caso mi concentro a contare i passi e cerco di farne almeno uno in più rispetto a quanto penserei di reggere. In questa sorta di braccio di ferro tra il tenere ed il mollare, ci si rende conto che il gesto semplice di un passo alla volta, porta a reggere una quantità insperata, anche alcune decine in più. Inoltre, trovo che associare l’impegno muscolare della spinta alla respirazione, in modo particolare all’espirazione, contribuisce ad aumentare la tenuta al disagio.
Anche la corsa in salita è una valida palestra di allenamento per attuare tattiche insolite rispetto al modo comune di ragionare degli atleti. E’ risaputo che il 99% dei podisti attende la fine della salita, specialmente quando è stata impegnativa, per allentare l’impegno e rilassarsi. E’ questo invece il momento ideale per prendere a sorpresa l’avversario, evitando di rallentare. Non dico che si debba aumentare il passo, ma si cerca di proseguire con lo stesso impegno pensando di concedersi una pausa solo qualche decina di secondi più tardi. Prima di arrivare al termine della salita è necessario però ridurre un po’ le tensioni, proprio in previsione dell’azione che si farà poco dopo. Indicativamente bastano alcune centinaia di metri (1-2’) per rientrare ad un livello d’impegno fisiologico che consente di risparmiare energie.
Andare controcorrente non è solo un atteggiamento anticonformista. A volte può essere una scelta vincente.
Orlando
Articolo pubblicato su Correre (Aprile 2012, 330).
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