Dott. Filippo Ongaro. |
Quante volte ci siamo sentiti dire che una dieta equilibrata è tutto ciò che ci serve per stare bene e prevenire le malattie? Quanti medici ancora oggi sostengono che integratori, cibi funzionali e strategie alimentari particolari siano inutili o perfino dannosi e che dobbiamo continuare semplicemente a mangiare come abbiamo sempre fatto?
Ma cos’è esattamente una dieta equilibrata? Quella della piramide alimentare con una montagna di cereali raffinati alla base? Quella vegana che finisce con il penalizzare le proteine nobili ma chiude un occhio su zuccheri e cereali di troppo per accontentare più persone? O quella tradizionale dello sportivo che assume zuccheri e pasta dalla mattina alla sera con la scusa che servono ai muscoli? O bastano le cinque porzioni di verdure al giorno che tutti citano ma nessuno assume? O serve solo la dieta mediterranea che gli italiani hanno però trasformato pian piano nella dieta della pasta, della pizza, del pane e del tramezzino?
Ma c’è un altro aspetto da tenere presente. Ammesso che si riesca ad adottare uno stile alimentare più corretto possibile, gli alimenti selezionati sarebbero in grado di fornire la quantità ottimale di nutrienti, vitamine, minerali e fitocomplessi protettivi? La risposta pare essere no. Alcuni studi che hanno confrontato vitamine e minerali contenuti nei cibi nel 1930 e nel 1980 indicano una progressiva riduzione dei nutrienti. Altri studi hanno messo in evidenza come la maggior parte delle persone nella realtà quotidiana non sia in grado di raggiungere nemmeno i valori minimi indispensabili di molti micronutrienti, figuriamoci quelli ottimali per vivere a lungo in salute.
Di fronte a una situazione così complessa appare per lo meno semplicistico sostenere, come fanno alcuni, che dobbiamo riprendere a coltivare l’orto o allevare i nostri animali. Perfino il suolo si è impoverito a tal punto che nemmeno il proprio orto risolverebbe del tutto il problema. La realtà moderna è qualcosa di troppo complesso per pensare che la soluzione ad ampia scala possa essere quella di tornare indietro nel tempo e di riappropriarsi di modelli di produzione antichi e da tempo abbandonati. E poi siamo sicuri di volere davvero quel mondo duro e privo di comodità che abbiamo fatto di tutto per lasciarci alle spalle? E nelle zone del mondo dove l’industrializzazione non è ancora arrivata, troveremo sostegno ad un progetto che, per chi il progresso non l’ha mai visto, sarebbe non un invito a tornare indietro ma semmai una condanna a stare fermo? E non è magari che chi vive in quelle zone del mondo vuole disperatamente raggiungere quel benessere e quello sviluppo tecnologico che oggi noi occidentali vediamo come un nemico?
Prima di dare la colpa di ciò che non ci piace semplicemente ad un modello di sviluppo, forse dovremmo riflettere sul fatto che non è il progresso in quanto tale ad essere un problema ma piuttosto la mancanza di rispetto per sé, per gli altri e per l’ambiente, l’ingordigia, l’assenza di una cultura della salute, la voglia di fregare e la poca lungimiranza. Tutte cose che non dipendono dal modello di sviluppo ma semmai dallo scarso sviluppo dei nostri cervelli o, meglio, della nostra etica, e che si ripresenterebbero quindi nel contesto di qualsiasi nuovo ciclo economico. Il problema, come spesso succede, è molto più intimo e personale; sta in noi e non all’esterno.
Allora servono più educazione, più cultura, più regole a tutela dei consumatori e dei cittadini che spingano le industrie a migliorare i loro processi di produzione. Serve più ricerca e sviluppo che aiuti a produrre cibi funzionali e nutraceutici che permettano di rimpiazzare ciò che dagli alimenti purtroppo non avremo più. Serve una cosa che ormai sembra un miraggio, la buona politica che imposti una vera strategia di sviluppo. Ma serve soprattutto una riscoperta dell’etica individuale, quella forza invisibile che ti dà delle regole sulle quali non sei disposto a negoziare ma che sei in grado di seguire senza fatica perché senti come naturali e spontanee.
L’importante è non inneggiare al cambiamento per poi sciogliersi come la neve al sole di fronte alla necessità di cambiare noi stessi. Ma non serve trasformarsi in eroi. Basta anche solo aiutare la persona anziana incontrata in stazione a portare la valigia. O impegnarsi a educare i nostri figli a cedere il posto a chi ne ha bisogno sull’autobus invece di lasciare che vengano ipnotizzati da qualche videogioco. Insomma, dobbiamo iniziare a sentire l’urgenza di cambiare prima di tutto il nostro mondo interiore, il modo di vivere la vita, di mangiare, di trattare noi stessi e gli altri. Solo così, passo dopo passo, persona dopo persona, magari cambierà anche il mondo.
Per quello che può valere, il mio invito è a fare riflessioni più approfondite, di ampio respiro e personali e di evitare di credere negli slogan troppo semplici o di sposare posizioni ideologiche magari affascinanti ma poco scientifiche o difficilmente realizzabili e che spesso rappresentano solo degli alibi per evitare di andare più in profondità.
Proprio ora, che per mesi si parlerà di Expo e del problema alimentazione, abbiamo un’occasione importante, non tanto per sfamare il mondo (magari bastasse un Expo per quello) ma per fare un salto di qualità nel modo in cui affrontiamo la discussione su come alimentare meglio noi occidentali, che stiamo diventando sempre più grassi, e il resto del mondo che invece continua a morire di fame. E, soprattutto, per un salto di qualità su come ci mettiamo in gioco personalmente come testimoni del cambiamento che vorremo vedere negli altri e nel mondo.
Per entrare nel sito del Dott. Ongaro clicca qui.
Nessun commento:
Posta un commento