Cosa vedete quando guardate il vostro corpo allo specchio? Quale impressione vi dà la vostra immagine riflessa? Di bellezza, armonia e gioia? Oppure di disprezzo, delusione e frustrazione? Evitate di guardarvi o accettate con grazia pregi e difetti di ciò che state osservando?
Spesso ci dimentichiamo che il corpo è la manifestazione tangibile e concreta della nostra esistenza e che il rapporto che abbiamo con esso determina in larga misura la relazione che abbiamo con noi stessi e, in senso lato, con la vita e con gli altri. Avere un corpo in forma, voler realizzare un proprio concetto di bellezza non sono certamente obblighi ma opportunità per crearsi una vita più completa e appagante.
Che siate o meno credenti, che pensiate che ci sia un’anima e una vita eterna, rimane sempre il corpo la dimora dei vostri sentimenti e della vostra realtà nella vita terrena. È attraverso questo corpo che percepiamo piacere e dolore, caldo e freddo, che interagiamo con gli altri e con il mondo, che sperimentiamo il bello e il brutto, il buono e il cattivo, il dolce e l’amaro della vita. Il corpo può essere un involucro che ignoriamo e trascuriamo, può essere un fardello di problemi che ci trasciniamo dietro, può essere perfino la valvola di sfogo della nostra rabbia e dei nostri errori oppure può essere la manifestazione della nostra armonia e bellezza interiori. Dipende dalle nostre scelte.
Del corpo molto spesso ci dimentichiamo, diamo per scontata la sua presenza ma quando poi ci abbandona ci stupiamo e ci sentiamo traditi. Allora affermiamo di aver perso la salute ma in verità abbiamo perso prima di tutto noi stessi. Infatti, è attraverso il corpo che si determinano la nostra identità, il modo in cui vediamo noi stessi nel corso della vita e molto di come ci vedono gli altri.
Il corpo può essere anche la palestra attraverso cui costruiamo qualcosa di più profondo come il carattere, la personalità e un certo tipo di visione della vita. Gli antichi greci sostenevano che i gymnasia,ossia gli esercizi per il corpo, andassero sempre accoppiati ai melete, esercizi di meditazione, in modo da poter sviluppare una simbiosi perfetta tra corpo e mente, tra carne e spirito, come rappresentato dalle figure eroiche che hanno riempito la cultura di quell’epoca.
Del resto nella cultura greca prima e romana poi, l’eroe non era qualcosa di astratto ma un modello fondamentale per la vita quotidiana. Indicava ai cittadini quale dovesse essere l’ideale a cui tendere, un uomo provvisto di un equilibrio perfetto di qualità morali, intellettuali e fisiche, tra cui la forza e la prestanza.
Proprio queste ultime erano considerate armi essenziali dell’eroe, caratteristiche che lo aiutavano a portare a termine il suo atto di coraggio per il bene collettivo, arrivando anche a sacrificare se stesso.
Con il passare dei secoli questi pensieri si sono persi per lasciare spazio ad altre visioni. Il rapporto tra mente e corpo è stato scisso per comodità della scienza. Il ruolo del corpo come dono da preservare è stato sostituito da quello di un insieme pericoloso di istinti da reprimere e tenere a bada. Il modello da seguire è diventato quello dell’obbedienza e della conformazione alle regole sociali e non più quello dell’eroe capace di trasformare la realtà propria e quella collettiva.
Ma ognuno di noi rimane libero di lavorare sul proprio corpo per dare vita ad una poesia che lo accompagnerà nelle varie fasi della vita. E come ogni poesia, anche questa avrà alcuni lati felici e altri tristi, ma ciò che conta davvero è cogliere l’opportunità di innamorarsi della scelta fatta e del processo avviato. Lo sforzo conta più del risultato e il percorso più del luogo raggiunto. Perché è proprio il percorrere la via e l’affrontare lo sforzo ciò che definisce la nostra identità e ci trasforma in piccoli eroi che apprezzano la virtù della durata e della pazienza piuttosto che l’eccitazione del risultato facile o la frustrazione della rinuncia a priori.
È proprio attraverso la capacità di affrontare il nostro percorso personale che si costruisce la sensazione di vivere la vita invece che semplicemente di lasciare scorrere il tempo. Si resta fedeli prima di tutto a se stessi, ci si muove lungo gli anni della vita con cautela e attenzione per i dettagli, mescolando disciplina e accettazione per i propri difetti, durezza e tenerezza.
Un po’ come scrisse nella celebre preghiera della serenità Il teologo protestante Reinhold Niebuhr: “Dio, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso, e la saggezza per conoscerne la differenza”.
Che siate credenti o meno questa preghiera racchiude tre parole chiave per un’esistenza serena: accettazione, coraggio, saggezza.
Ecco perché non nascondo la mia cura per il corpo o addirittura, agli occhi di alcuni, sembro ostentarla. Non perché credo di essere meglio di altri né perché considero finito il mio percorso, tutt’altro. Ma solo perché penso di poter stimolare altre persone a prendere in mano la propria vita come ho fatto io, senza paura ma semplicemente con molta accettazione, un po’ di coraggio e magari prima o poi anche un pizzico di saggezza. Una volta fatta la scelta, ognuno di noi può diventare a modo suo un esempio per gli altri.
Certo non mi dimentico che un giorno, prima o poi, tutti noi moriremo e lasceremo questo corpo al suo destino. Ma al contrario di quanto si possa pensare, è proprio questa transitorietà della nostra esistenza lo stimolo più profondo per lavorare su noi stessi: non abbiamo un’eternità per provare a costruire il nostro piccolo capolavoro.
Tratto dal sito www.filippo-ongaro.it
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