Quanto posso migliorare nella corsa? Questa domanda è molto ricorrente sia fra gli amatori che fra gli atleti d’élite. Anche sé è un dubbio legittimo, il solo “spingersi oltre” sia negli allenamenti che nell’alimentazione e nello stile di vita non deve trasformarsi nell’unico motivo che spinge a correre, anche perché una volta raggiunti i propri limiti i margini di miglioramento sono esigui.
A questo punto l’obiettivo è quello di mantenere standard alti di prestazione e cercare di infortunandosi il meno possibile. Vediamo allora quali sono le componenti che influenzano la prestazione e quindi il miglioramento.
Tornando a noi, vediamo l’aspetto che ci riguarda da vicino, cioè l’allenamento. Un primo fattore condizionante dell’allenamento è il numero di sedute settimanali che si possono svolgere. Lo stimolo minimo per produrre effetti è allenarsi tre volte a settimana. Se si corre meno di tre volte a settimana i miglioramenti sono pressoché nulli: l’attività che viene svolta due o una volta a settimana è valida ai fini salutistici ma non prestativi. Di contro allenarsi sei, sette giorni a settimana non sempre determina un miglioramento nel senso che, se non si esegue un programma di allenamento stilato su misura in base alle proprie caratteristiche e alle proprie possibilità, spesso si va incontro all’overtraining ottenendo un’involuzione nella prestazione.
Partendo dal presupposto che con l’allenamento si può migliorare, questa affermazione è valida fino ad un certo punto. Infatti, anche allenandosi al meglio, non significa che si possono ottenere tutti i risultati che si desiderano. Il miglioramento è riferito al proprio punto di partenza e non ha valori generali. Ad esempio, se corro la maratona a 5’ al km, è impossibile immaginare che allenandomi di più la correrò a 3’ al km. Quindi partendo dalle proprie qualità, la scelta di seguire una determinata tabella o di affidarsi ad un dato allenatore dovrebbero essere effettuate in base al proprio gradimento psicologico, l’obiettivo dovrebbe mirare alla longevità atletica: piuttosto che avere dei picchi dovuti a carichi enormi, bisogna mirare a cicli lunghi di allenamento che negli anni determinano un miglioramento e un consolidamento della prestazione. Tale miglioramento è dovuto alla sommatoria dei mesi/anni di lavoro svolto in continuità, e non è determinato da una tabella o programma che ha stressato al massimo e spesso provocato l’infortunio, obbligando a lunghi periodi di stop con tutte le frustrazioni che ne conseguono.
Si intuisce che per i “top runners” la discussione è diversa nel senso che la prestazione è l’obiettivo fondamentale per cui si pratica l’attività e ci si spinge sempre ai limiti per ottenere il massimo, anche solo in un grande evento, di conseguenza i rischi si moltiplicano ma fanno parte del gioco.
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