Come l’attività fisica si relaziona con la produzione di radicali liberi? Cosa succede nel nostro organismo per colpa dello stress ossidativo? La supplementazione d’integratori ci aiuta a combatterlo? A queste ed altre domande risponderemo in questo articolo che riassume tutto quello che c’è da sapere sullo stress ossidativo e l’attività fisica.
Articolo di Davide Marchese
Thomas Merton
Siamo sicuri che più ci alleniamo, più diventiamo sani?
James Fuller Fixx iniziò a correre all’ età di 35 anni, con parecchi chili di troppo e il vizio del fumo. 10 anni dopo, nel 1977, quando fu pubblicato il suo libro The Complete Book of Running, aveva perso il vizio del fumo e oltre 30 chili. James aveva trascorso quei 10 anni facendo una sola cosa: correre. The Complete Book of Running divenne un best-seller, vendendo oltre un milione di copie. Ma, nel 1984, dopo la sua corsa giornaliera sulla Vermont Route 15 ad Hardwick, fu colto da infarto fulminante e morì. All’ età di 52 anni. L’ autopsia rilevò una coronaria ostruita al 95%, una all’ 85% e un’ altra al 70%.
Nel 1987 fu pubblicata una review “Heart disease in marathon runners” in cui, sulla base dei casi di morte improvvisa fino a quel momento catalogati in ambito scientifico, veniva raccomandato al personale medico di “do not assume that ‘physically fit’ marathon runners cannot have serious, life-threatening cardiac disease”, ovvero di non dare per scontato che coloro i quali siano dediti ad attività aerobica prolungata nel tempo e quindi apparentemente in forma, siano scevri da patologia cardiaca, potenzialmente fatale (Noakes TD).
Negli ultimi tempi, sembra esservi sempre maggiore evidenza che l’esercizio fisico eccessivo, con particolare riferimento alle lunghissime sedute di cardio, possa causare più danno che beneficio. E che, probabilmente, non vi è alcuna necessità di effettuare sedute di allenamento più lunghe di 45 minuti. E che, forse, 20 minuti possono essere più che sufficienti.
Ma andiamo per ordine. E nel farlo, prendiamo in considerazione un po’ di teoria e di letteratura scientifica.
Occhio allo stress ossidativo!
L’ esercizio fisico, e ciò vale soprattutto per l’ attività fisica vigorosa, provoca sempre, in misura variabile, un certo grado di stress, meccanico e metabolico, sul corpo umano. Ciò conduce a due risultati: infiammazione e stress ossidativo (Pyne DB). La richiesta energetica necessaria per l’ espletamento di attività fisica di un certo livello incrementa il consumo di ossigeno a livello tissutale (Morillas-Ruiz J et al). Vi sono evidenze che il consumo di ossigeno subisca incrementi pari a 10-20 volte rispetto al basale a livello sistemico (Anstrad PO et al), e 100-200 volte a livello del muscolo scheletrico (Halliwell B et al). L’ incremento del consumo di ossigeno conduce alle generazione di picchi nel flusso elettronico mitocondriale, il che porterà inevitabilmente ad una maggiore dispersione di specie reattive dell’ ossigeno (ROS) nel mitocondrio, incrementando in ultima analisi la produzione di radicali liberi (Halliwell B et al). Altre potenziali cause di un aumento della produzione dei ROS sono una alterazione dell’ omeostasi degli ioni calcio, un danno a carico delle proteine contenenti ferro, nonché la produzione di Xantina Ossidasi (la quale, prodotta in caso di stress ossidativo e fenomeni di ischemia-riperfusione, oltre a produrre acido urico genera anche radicali superossido) e di Nicotinamide Adenin Dinucleotide Fosfato (NADPH) Ossidasi. In condizioni di normalità, e soprattutto di riposo, la quantità di specie reattive dell’ ossigeno (ROS) prodotte è proporzionale alla capacità antiossidante, ma un aumento nella produzione di ROS causerà un disequilibrio nel bilanciamento ossidanti-antiossidanti (McRae et al). L’ aumento della produzione di ROS incrementerà l’ attività del sistema difensivo antiossidante, ma al contempo causerà anche una riduzione delle riserve antiossidanti, e ciò porterà ad una maggiore suscettibilità dei tessuti nei confronti dello stress ossidativo (Li Li J).
Lo stress ossidativo può essere quindi definito come la condizione in cui il bilancio esistente tra la produzione di radicali liberi e la loro disattivazione attraverso il sistema di difesa anti-ossidante viene ad inclinarsi in favore della espressione dei radicali liberi (Fisher-Wellman et al; Ahmadvand et al). I ROS sono la principale sorgente dello stress ossidativo, e giocano un ruolo fondamentale nella genesi e nella progressione del danno tissutale in seguito all’ esercizio fisico (Bloomer et al). Una energica e vigorosa attività fisica incrementa la produzione di radicali liberi, il che conduce ad un aumento della perossidazione lipidica attraverso l’ attacco degli acidi grassi poliinsaturi. L’ ossidazione lipidica produce prodotti come la malondialdeide (MDA), che è un indicatore dell’ ossidazione stessa. I radicali liberi dell’ ossigeno sono inoltre causa di danno ossidativo a carico delle proteine e del DNA (Radàk Z et al). Ciò è il motivo per cui un eccesso di attività fisica non è per forza di cose benefico, bensì talvolta dannoso (Kanter et al; Bloomer et al).
Lo stress ossidativo è coinvolto nella patogenesi di ipertensione, aterosclerosi, diabete, osteoporosi, cancro e demenza (Sakamoto R, et al), oltre ad essere noto per causare ed accelerare i processi di invecchiamento(Finkel et al). Tra tutti i processi sopra descritti, il danno a livello del DNA è quello più pericoloso per la salute a causa del suo ruolo nella patogenesi in buona parte dei processi patologici menzionati. I ROS, con particolare riferimento al radicale ossidrile OH•, possono causare cambiamenti a carico delle basi azotate, rottura dei filamenti del DNA, lesioni o down-regulation a carico di geni tumor-suppressor, ed amplificata espressione di proto-oncogeni (proteine che regolano il ciclo cellulare e la differenziazione, molte delle quali modulate da mTOR) (De Bont R et al).
Ciò che non uccide fortifica.
Vi è un ampio consenso (sulla base dei risultati dei lavori scientifici pubblicati nelle ultime tre decadi) rispetto al dato che una singola sessione di attività fisica induca stress ossidativo (Nikolaidis MG et al; Powers SK et al; Radak Z w et al), ed è anche dimostrato che i radicali liberi prodotti durante l’ esercizio sono importanti modulatori degli adattamenti che avvengono a livello muscolare e sistemico, in risposta all’ attività fisica (Fittipaldi S et al; Gliemann L et al; Powers SK et al). Infatti, se da un lato l’ esercizio fisico è un importante fattore in grado di influenzare lo stress ossidativo e il danno ossidativo a carico del DNA per tramite di un brusco incremento nel consumo di ossigeno, tuttavia l’ effetto del danno ossidativo esercizio-indotto è variabile, dipendendo da molteplici fattori quali: tipo di esercizio, modalità di esecuzione, durata ed intensità (Bloomer RJ). Per esempio, una prestazione motoria isolata ad intensità medio-alta induce un elevato stress ossidativo e significative lesioni a carico del DNA, mentre un esercizio fisico eseguito regolarmente a moderata intensità è in grado di esplicare una inibizione sullo stress ossidativo e danni correlati (Radak Z ed al). L’ oxidation-reduction status (redox) è dunque caratterizzato da risposte ormetiche, termine utilizzato per indicare quei sistemi biologici che mostrano risposte opposte a seconda del grado di stimolazione; così siamo in grado di dire con certezza che la generazione di specie reattive dell’ ossigeno a livelli medio-bassi indotta da una attività fisica moderata effettuata con regolarità ha sicuramente effetti benefici, poiché è in grado di ottenere una up-regulation degli enzimi chiave anti-ossidanti (Gomez Cabrera MC, et al). Un lavoro scientifico pubblicato nel 2003 sembra aver dimostrato che l’ attività aerobica ad alta intensità (75% VO2max) “eccessivamente protratta” incrementa la concentrazione di 8-idrossi-2-deossiguanosina (8-OHdG – un marker del danno al DNA), mentre nell’ esercizio fisico moderato eseguito con regolarità, nell’ uomo e nelle specie animali, si ha una up-regulation dell’ attività della 9-oxoguanina DNA glicosilasi (OGG1), un enzima cruciale nella riparazione del DNA alterato e nel ripristino della corretta sequenza nucleotidica (Goto C et al; Nakamoto H et al).
Ma, dentro di noi, chi si occupa di questi bastardi di radicali liberi?
Il sistema antiossidante nel corpo umano include una componente enzimatica (per esempio, Superossido Dismutasi – SOD, che protegge la cellula dalla tossicità dell’ anione superossido che è uno nei maggiori ossidanti cellulari; Glutatione Perossidasi – GPx, che ha una alta preferenza per i perossidi lipidici, etc), e una componente non enzimatica (per esempio il Glutatione, un tripeptide con potentissima attività antiossidante).
Ok. Ma tutta questa teoria come si riflette nello sport?
Uno degli esempi più evidenti del rischio di over-training viene proprio dai maratoneti. Portare a termine una maratona è spesso considerato alla stregua dell’apice della forma fisica, ma in realtà sottopone il cuore ad uno stress devastante. In accordo ad uno studio presentato al Canadian Cardiovascular Congress nel 2010 a Montreal, l’ esercizio fisico regolare riduce il rischio cardiovascolare di un fattore pari a 2-3 volte. Ma, di converso, un esercizio strenuo ed esteso nel tempo come quello legato ad una maratona aumenta il rischio cardiaco di ben 7 volte! La corsa effettuata su distanze eccessivamente lunghe conduce ad elevati livelli di infiammazione in grado di provocare danni al muscolo cardiaco a distanza di tempo dal termine dell’ attività sportiva (Siegel AJ). In un lavoro pubblicato nel Journal of Applied Physiology gli Autori (Wilson M et al) hanno reclutato un gruppo di corridori con età media pari a 56 anni, tutti membri del 100 Marathon Club, il che vuol dire che tutti avevano portato a termine almeno 100 maratone (se correre a lungo porta veramente dei benefici significativi, allora quello era il campione perfetto da analizzare!). Cosa trovarono? La metà dei soggetti esaminati mostrava un certo grado di fibrosi miocardica, il cui livello correlava significativamente con la durata e l’ intensità dell’ allenamento. Un altro lavoro pubblicato su Circulation nel 2011 (Begona Benito MD et al) proponeva un modello animale disegnato per riprodurre sui topi il vigoroso carico giornaliero cui si sottopongono i maratoneti; lo studio ha dimostrato che, mentre tutti i topi all’ inizio dello studio avevano un cuore perfettamente sano, al termine della sperimentazione la maggior parte di essi aveva sviluppato diffusa fibrosi miocardica e alterazioni strutturali del muscolo cardiaco del tutto paragonabili a quella degli atleti che effettuano sport di elevata resistenza. Ancora, un altro lavoro scientifico ha dimostrato che gli atleti che effettuano allenamenti di resistenza a lungo termine presentano una riduzione della funzionalità del ventricolo destro al termine della gara (Andre La Gerche et al), con incremento dei livelli ematici degli enzimi cardiaci (che sono un marcatore di danno miocardico) e, il 12% degli atleti presentava, a distanza di una settimana dalla gara, segni di tessuto cicatriziale nel miocardio.
Dunque, è verosimile che un eccesso di carico durante l’ allenamento possa essere più pericoloso che vantaggioso? E, queste considerazioni si adattano solo alla corsa, o a tutti gli sport? E quali sono gli sport più a rischio?
Forse la risposta più giusta sarebbe “qualunque sport che provochi un danno ossidativo significativo”! Il problema in questa risposta però è che così, in teoria, ogni tipo di attività motoria è in grado di creare un danno ossidativo. Se andiamo a vedere le evidenze pubblicate, per esempio, possiamo dire con certezza che:
- il sollevamento pesi (Zembron-Lacny et al; Paschalis V et al; Deminice R et al),
- la corsa (Nikolaidis MG et al; Tsai K et al; Child RB et al; Liu ML et al),
- Il nuoto (Deminice R et al),
- le arti marziali (Pesic S et al; Pesic S et al),
- il calcio (Fatouros IG et al; Ascensão A et al),
- il tennis (Shippinger G et al),
- il rugby (Chang CK et al; Finaud J et al),
- la pallavolo (Martinovic et al; Martinovic et al),
- l’ arrampicata su roccia indoor (Magalhães et al),
- la pallamano (Marin DP et al),
- il motocross (Ascensão et al),
- il canottaggio (Kyparos A et al; Kyparos A et al),
sono tutti associati in qualche misura a stress ossidativo. Nel 2005 Vollaard NB ha affermato che lo stress ossidativo si associa sempre alla fatica. Per cui, ogni workout in grado di generare fatica è in grado di causare un certo livello di stress ossidativo.
Porca miseria! Quindi devo stare immobile senza far nulla????
La risposta è… no.
In verità, quando per la prima volta si iniziò a parlare di radicali liberi, fu facile incolparli di invecchiamento precoce e di patologie varie. Sono passati un po’ di anni da quando Harman D, nel 1956, pubblicò il suo lavoro su stress ossidativo e invecchiamento precoce. Ma, contrariamente a quanto credevano i ricercatori negli anni ’50, oggi sappiamo che lo stress ossidativo, in piccole quantità è in realtà benefico. Nuove ricerche hanno dimostrato che lo stress ossidativo spinge le cellule a diventare sempre più forti, incrementando la produzione di antiossidanti (Radak et al). In altre parole, il corpo attraverso lo stress ossidativo si indebolisce leggermente, per diventare più resistente nel workout successivo (Majerczak J et al; Knez WL et al; Morton JP et al; Nikolaidis MG et al). Le evidenze attuali concordano che una moderata quantità di esercizio sia in grado di produrre una “quota salutare di stress ossidativo”, tale da poter essere così considerata allo stesso modo di un antiossidante (Gomez-Cabrera MC et al). In aggiunta alcuni studi a lungo termine, in opposto a studi a breve termine, sembrano supportare l’ipotesi che un training ad alta intensità possa incrementare i livelli sistemici di antiossidanti in grado di fronteggiare un eventuale danno ossidativo (Wagner KH et al; Knez WL et al; Knez WL et al; Vollaard NB et al). Secondo Karl-Heinz Wagner, in una review pubblicata nel 2011, “durante l’ esercizio fisico la formazione di radicali liberi dell’ ossigeno è in grado di stimolare meccanismi adattivi che conducono alla riduzione del danno ossidativo”. Cito anche un altro lavoro del 2001 in cui ad un gruppo di persone totalmente non allenate è stato richiesto di correre un’ora al giorno all’ 80% della frequenza cardiaca massima teorica, cinque volte a settimana (quel che gli anglosassoni definiscono “chronic cardio”); le valutazioni all’ inizio dello studio evidenziarono un incremento significativo della perossidazione lipidica e dello stress ossidativo, ma dopo 12 settimane i soggetti partecipanti mostrarono un grado ridotto di perossidazione lipidica e un livello di antiossidanti significativamente più alto rispetto al dato iniziale(Miyazaki H et al). Più studi hanno dimostrato che nelle settimane successive ad un triathlon effettuato nella distanza più lunga (Ironman), negli atleti era possibile rilevare un ampio declino del danno ossidativo a carico del DNA; i ricercatori sostengono che ciò sia dovuto ad una up-regulation dei meccanismi riparativi e dei sistemi antiossidanti endogeni (Reichhold S et al; Reichhold et al; Wagner KH et al; Reichhold S et al).
Dunque possiamo dire che l’ allenamento incrementa l’abilità sistemica di prevenire e riparare un danno a carico del DNA, mediante un incremento dei meccanismi di difesa anti-ossidanti.
Il concetto di carico ottimale.
Molti Autori hanno suggerito che esista un “livello ottimale” di esercizio, al di sopra del quale un training eccessivo sopravanza quelli che sono i benefici portati da questa quota ottimale di attività fisica. Il problema è che questa “quota ottimale di attività motoria” è variabile da individuo ad individuo. Per fare un esempio, a parità di età, velocità e km percorsi, una cosa è lo stress ossidativo (quantità di radicali liberi dell’ ossigeno prodotti) in un atleta di Triathlon, una cosa è lo stress ossidativo in un soggetto la cui unica attività negli ultimi 10 anni è stata la Playstation. Dunque il carico ossidativo non sarebbe dovuto esclusivamente a quanto ci alleniamo, ma a quanto lo facciamo in rapporto alle nostre capacità. Secondo Moflehi D et al(2012), in soggetti non allenati un qualunque livello di attività fisica, persino leggero, è in grado di indurre una produzione di radicali liberi. Al contrario, atleti molto allenati hanno livelli di antiossidanti significativamente più alti rispetto a soggetti mediamente allenati e a soggetti sani non allenati. Ad esempio, i ciclisti agonisti, in uno studio condotto da Mena P. et al, hanno dimostrato livelli di antiossidanti molto alti al termine di uno stage di gara di 20 giorni.
In altre parole, basta spingersi appena al di là di quella che è la nostra “zona di comfort” per sperimentare un certo livello di stress ossidativo…se facciamo troppo, rischiamo di creare un danno… e se facciamo troppo poco potremmo non essere protetti da carichi di lavoro più alti o da altre fonti di stress ossidativo!! Ma, a pensarci bene, tutto questo non è molto differente da ciò che è possibile rilevare in altri tipi di risposta all’ esercizio fisico: certi livelli di carico disturbano l’ omeostasi così da risultare a livello locale e sistemico in modificazioni adattive che consentono al corpo di interagire in modo più adeguato a simili carichi di lavoro in futuro (Vollard NB et al).
Sulla base di quanto finora detto, lo stress ossidativo è dunque positivo se contenuto entro certi limiti. Oltre i quali rischia di diventare pericoloso.
Un’ attività motoria troppo intensa e troppo sostenuta genererà ampie quantita di ROS che supereranno di gran lunga la capacità di contenimento, lasciando l’individuo totalmente in balia dello stress ossidativo e dei radicali liberi (Harshal R. Patil et al). Ogni individuo, sia esso un atleta o un soggetto sano sedentario che non pratica mai sport, ha un limite alla quantità di stress ossidativo che può gestire; oltre questo limite iniziano i danni al codice genetico e alle arterie coronarie, al sistema endocrino, etc.
Ma in termini di stress ossidativo cosa è meglio? Allenamento aerobico o anaerobico?
Per molto tempo, si è accusato l’ allenamento di resistenza (endurance sports) di essere la causa principale di stress ossidativo. E’ opinione comune che i mitocondri siano i principali produttori di radicali liberi, e poiché l’ allenamento di resistenza richiede ossigeno, il che causa un notevole flusso di energia attraverso la fosforilazione ossidativa, maggiore sarà la richiesta energetica maggiore sarà il numero di radicali liberi prodotti a livello mitocondriale (Radak Z et al; Fisher-Wellman et al). Ma Ji LL et al hanno invece chiarito che i radicali liberi possono essere prodotti anche attraverso altri pathways, che non sono necessariamente correlati alla richiesta di ossigeno. Parecchi studi hanno evidenziato che, a dispetto di quanto ossigeno è richiesto nello svolgimento di una attività aerobica, anche l’ esercizio anaerobico (HIIT, weight lifting, etc) può produrre livelli similari di stress ossidativi (Alessio HM et al; Shi M et al). Tuttavia, mentre non è possibile svolgere una sedute di 4 ore di High Intensity Interval Training, non è difficile trovare ciclisti che spingono le loro sedute di allenamento oltre le 4-6 ore al giorno (per quanto non è difficile trovare bodybuilders che si allenano per parecchie ore al giorno).
Concludendo…
Ogni attività fisica intensa causa un certo grado di stress ossidativo, ma il danno è rapidamente riparato inducendo adattamenti che aumentano la resistenza al danno ossidativo legato ad alti volumi e intensità di carico. Più ci alleniamo, più il corpo è in grado di indurre una up-regulation nella produzione di antiossidanti così da contenere entro limiti sicuri lo stress ossidativo. Tuttavia l’ overtraining è pericoloso, è legato ai danni sopra descritti, ed è necessario allenarsi gradualmente e costantemente così da aumentare progressivamente volume e intensità evitando il sovraccarico…in poche parole è da evitare di impersonare il cosiddetto “guerriero del fine settimana”. L’ analisi della maggior parte delle evidenze a disposizione consente di affermare che un allenamento intelligente, progressivo, con pause adeguate tra i vari workout può condurre alla gestione di carichi estremamente alti con una adeguata protezione da livelli di stress ossidativo altrimenti pericolosi.
Ah.. e gli integratori anti-ossidanti?
Una ultima cosa. Prima che corriate a comprare quantità industriali di prodotti anti-ossidanti. In un recente articolo (2011) di Higashida et al gli Autori hanno riportato che l’ assunzione di elevate dosi di vitamine antiossidanti altera le risposte adattive esercizio-indotte a livello di mitocondri di muscolo, GLUT4 e azione insulinica. Alcune evidenze sottolineano come questi integratori possano giocare più contro che a favore, sortendo un effetto dannoso sulla performance. Già nel 1971 fu dimostrato (Sharman IR et al) che la supplementazione di 400 IU/die di vitamina E per 6 settimane era causa di effetti sfavorevoli sulle prestazioni di resistenza nei nuotatori. Malm et al, in due lavori consecutivi ha dimostrato gli effetti deleteri di una assunzione di Ubiquinone-10 sulla performance umana in relazione ad un programma di training ad alta intensità, ipotizzando persino un danno cellulare. Nel 2002, in un lavoro svolto sui levrieri da corsa, fu dimostrato che la somministrazione di un grammo al giorno di vitamina C per 4 settimane determinava una significativa riduzione della loro velocità (Marshall RJ et al). In aggiunta, uno studio effettuato su umani ha messo in evidenza gli effetti negativi dell’ acido ascorbico (vitamina C) nella modulazione della risposta adattativa allo stress ossidativo (Khassaf M et al). Nel 2008, in un notevole lavoro, Gomez-Cabrera MC et alhanno dimostrato che la somministrazione di vitamina C orale si associa ad un effetto avverso sulla capacità di resistenza nell’ umano; tale effetto avverso risulterebbe dalla sua capacità di ridurre l’ espressione esercizio-indotta dei fattori di trascrizione chiave coinvolti nella biogenesi mitocondriale (coattivatore 1 del proliferatore gamma del perossisoma Pcg1-α, fattore respiratorio mitocondriale 1 e fattore di trascrizione mitocondriale A), di prevenire l’ espressione esercizio-indotta del citocromo C (marker del contenuto mitocondriale) e di ridurre l’espressione di enzimi anti-ossidanti quali la superossido-dismutasi e la glutanione perossidasi. L’ evidenza dell’ inutilità degli anti-ossidanti (o perlomeno di alcuni di questi) in soggetti sani è, se possibile, resa ancora più robusta da un famosa metanalisi del 2007 (Bjelakovic et al) che mette in risalto, sulla base dei dati di 67 studi, un incremento del rischio di morte legato alla supplementazione di vitamina A, beta carotene e vitamina E; questo dato confermerebbe il lavoro di Lonn et al secondo cui l’assunzione di vitamina E a lungo termine incrementerebbe il rischio cardiovascolare in pazienti affetti da patologia vascolare o diabete mellito. Ancora, l’ assunzione di acido alfa-lipoico, vitamina C e vitamina E inibirebbe non solo la vasodilatazione mediata dal flusso esercizio-indotta, ma anche gli induttori molecolari della sensibilità insulinica post-workout (Wray DW et al; Ristow M et al).
Dunque, la completa assenza di effetti positivi degli integratori antiossidanti sugli outcomes biochimici e fisiologici rende lecita la domanda se sia davvero il caso di utilizzarli, almeno nello sport.
Note sull’ autore
Articolo di Davide Marchese
Nato a Catanzaro nel 1977. Specialista in Medicina Fisica e Riabilitazione.
Appassionato di Functional Training, HIIT, Yoga, meditazione e EFT.
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