Rodolfo Marroccu e il cavallo. Foto Tore Orrù. |
Arrivai a Esporlatu che quella maledetta opera di un pazzo, era ancora nel pieno della sua potenza distruttiva; purtroppo! Solo a notte inoltrata volontari, operatori ed elicotteri ebbero la meglio.
La mattina, non conoscendo con precisione la zona del ritrovo, mi avviai con rassicurante anticipo. Contavo comunque sul fatto che lungo strada avrei trovato le solite indicazioni che gli organizzatori distribuiscono nei punti cruciali. Invece, non fu così. All'ingresso di Bultei, seguendo l'indicazione di un cartello che riportava “Sa Fraigada”, iniziai una interminabile salita; per chilometri nessuna ulteriore indicazione. Ad un certo punto mi venne persino il dubbio che avessi sbagliato strada, la tentazione di tornare indietro andava aumentando; continuai. Dopo pochi chilometri finalmente un bivio con dei cartelli, ma nessuno di essi riportava qualche scritta che mi facesse pensare alla zona ritrovo. Parcheggiai, scesi dall'auto e attesi il passaggio di qualcuno. Mi salvò un pick-up. L'autista mi indicò la strada da seguire, precisando che a qualche chilometro avrei trovato la deviazione “sterrata” di mio interesse. Mi sentii rassicurato anche dal fatto che improvvisamente mi vidi seguito da altre auto. Finalmente, nella deviazione che cercavo, un addetto dell'organizzazione dava istruzioni per raggiungere l'area di partenza. Vi arrivai dopo aver superato qualche altra difficoltà per il parcheggio e una lunga camminata. Il posto era veramente stupendo, una fitta vegetazione faceva da contorno a una serie di aree attrezzate per arrostire e per mangiare; tutte occupate. Faceva particolarmente caldo. La zona, costantemente impolverata dal continuo passaggio di auto, in breve si popolò di tutti gli atleti partecipanti; pochi, circa sessanta. Alcuni, i più coraggiosi, arrivavano da Esterzili. Dopo un breve riscaldamento, mi posizionai sotto il gonfiabile per il via. Un gonfiabile che perdendo pressione minacciava ogni tanto di crollarci sopra; per tenerlo su, un addetto provvedeva a pomparlo continuamente. Tutto il percorso si sviluppava su sterrato, presentendo alla partenza una salita, non tanto ripida, di circa 500 metri. Ma a me furono sufficienti poco più della metà per farmi andare fuori giri. A circa 300 metri, ebbi la sensazione di non riuscire più a “pescare” ossigeno; andai in affanno e rallentai drasticamente. Vedevo la coda del gruppo che lentamente si allontanava. Dal terzo chilometro iniziai a sentirmi meglio, aumentai il ritmo recuperando alcune posizioni. Intanto, il caldo aveva fatto il suo effetto e una sete irrefrenabile aveva iniziato a innervosirmi; bocca e gola fastidiosamente secche. Fu così che, quando vidi in lontananza un banchetto e due ragazzini, non mi sembrò vero, solo l'idea di poter bere di li a poco un po' di acqua, mi fece star meglio. E invece si rivelò un miraggio, la ragazzina mi gelò (magari): “mi dispiace, non abbiamo acqua, ne avevamo poca”. Due bottiglie di plastica rovesciate sul tavolino e pochi bicchieri per terra ne davano conferma; ne avevano pochissima. Non vidi acqua nemmeno più avanti, lungo il percorso. Ovviamente, mi rassegnai.
Continuai, recuperando ancora qualche posizione. Poi, arrivato all'ultimo chilometro successe l'incredibile. Nell'ultima discesa, prima della salita che portava al traguardo, mi lanciai con tutto quello che avevo, rischiando un po'. Ad un certo punto, sentii dietro di me un rumore che andava via via aumentando. Pensai fossero due o tre atleti che scendevano più veloci di me, rischiando ancora di più. Istintivamente, aumentai un po' cercando di non farmi raggiungere, ma poi decisi di spostarmi sulla sinistra lasciando spazio in un tratto particolarmente stretto. Pochi secondi e venni affiancato e superato, da un grosso cavallo al galoppo, senza cavaliere. Mi sprammai (per non scrivere altro). Dietro ne arrivava un secondo a tutta velocità.
Dopo avermi sopravanzato, rallentarono fino a fermarsi. Per un istante mi fermai anch'io, poi ripresi camminando lentamente nel tentativo di superare il primo cavallo che nel frattempo si era posizionato di traverso lungo il percorso. Gli passai quasi sotto il collo e non si mosse, mi dedicò uno sguardo sollevando i labbroni per mostrarmi tutti i denti, poco curati. Non riuscii a capire se fosse un ghigno minaccioso o se volesse consigliarmi di smetterla con la corsa e di darmi all'ippica. Mi allontanai frettolosamente rinunciando a chiederglielo; preferii pensare fosse un benevolo sorriso. In fondo alla discesa, in posizione strategica, era seduta una ragazza con una macchina fotografica (verrò a sapere chiamarsi Monica) che mi sorrise, anche lei... Sollecita da una mia domanda, cercò di tranquillizzarmi riferendomi che i cavalli erano ancora fermi e che il primo animale, che appariva impaurito, era una cavalla, lasciando intendere che il secondo fosse un maschio. Curiosità che in quel momento ritenni poco interessante.
Finalmente l'ultima breve salita. Giunsi al traguardo senza averne la certezza, perché il gonfiabile era sparito; evidentemente l'addetto si era stancato di pomparlo. Per sicurezza, andai oltre di qualche decina di metri rispetto al punto in cui il pubblico era maggiormente concentrato, dove ritenni fosse l'arrivo. Mi guardai attorno alla ricerca di qualche bicchiere d'acqua ma non ne ne vidi traccia. Finalmente qualcuno mi indirizzò verso una fonte naturale presente nelle vicinanze; la raggiunsi immediatamente facendo ricorso alle poche energie rimaste. Ma, mentre mi accingevo a bere, notai la presenza di un cartello che ammoniva, in tono quasi minaccioso: “ Attento, se vuoi puoi anche bere, ma sappi che nessuno ti sta assicurando la potabilità di quest'acqua”. Rimasi bloccato, ma durò poco. La sete era così tanta che in quel momento avrei bevuto persino una coca-cola. Quindi iniziai a bere, ma a piccoli sorsi, nell'ingenua convinzione che così facendo avrei attenuato eventuali complicazioni qualora non fosse stata potabile. Ma poco dopo, non riuscendo più a controllarmi, iniziai a bere fino a quando non ebbi la sensazione di scoppiare.
A livello agonistico, giunsi 32° e 4° di una categoria che, curiosamente, risultò la più numerosa. A tenere alto il prestigio della mia società, provvedeva il bravissimo Giuseppe Zedda il quale, seppure reduce dalla impegnativa gara di Esterzili, giunse 17° e 3° di categoria, esibendo una grande prestazione.
Dopo un pranzo in compagnia di simpatici amici, presi la via del ritorno. Dopo pochi chilometri, in direzione Burgos, un vasto incendio aggrediva un intero versante della montagna sulla quale
campeggia il “mio” amato castello, facendolo persino scomparire alla vista. Maledizione! Che rabbia!
Post pubblicato da Rodolfo Marroccu su fb in data 25-08-16.
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